Ricordi dal sottosuolo recensione
Fëdor Dostoevskij Memorie dal sottosuolo
UN DOSTOEVSKIJ RAPIDO, NERVOSO, INCISIVO
Il sottosuolo evocato dal titolo non descrive tanto una condizione sociale, seppure meschina, ma rappresenta invece l’anima dell’io narrante. Le “memorie dal sottosuolo” costituiscono una narrazione nervosa e rapido, e inducono lo stupore un po’ banale di quanto il tempo non conti e di in che modo l’anima umana sia costantemente la stessa, le ferite sempre uguali, le nevrosi ripetitive, la cura per i travagli dell’uomo introvabile. Il sottotitolo di codesto romanzo, rivelatore, è “storia di una nevrosi”. E qui Dostoevskij, maestro nell’indagare gli istinti più neri dell’uomo, è più spietato che mai. L’io narrante è tremendamente cinico ma anche meschino, alternativamente masochista nel perseguimento di situazioni incresciose e sadico nel provocare sofferenza. Rabbioso, sudicio e privo soldi, caparbiamente autoinvitatosi a una riunione di vecchi compagni universitari, condurrà consapevolmente la sera verso un epilogo vergognoso e umiliante per lui.
< …No, è preferibilmente che resti qui sottile alla termine – continuavo a riflettere. Voi sareste contenti, signori, che me ne andassi. Neanche per sogno. Apposta resterò qui a sorseggiare fino alla fine per dimostrarvi che, per me, non avete la minima importanza. Resterò qui a bere perché questa è un’osteria e io ho pagato la mia sezione. Resterò qui a sorseggiare perché vi considero marionette, marionette prive di a mio avviso la vita e piena di sorprese. Resterò qui a bere… e a cantare se vorrò, sì, anche a cantare, perché ne ho il diritto…a cantare…Mm. – Ma non cantai.>
Il protagonista incontra poi una giovanissima prostituta; prova un sentimento di tenerezza per lei ed è consapevole che essa rappresenta la possibilità di una recente vita per lui. Tuttavia agirà contro questa possibilità, da una parte soffrendo ma dall’altra malignamente compiacendosi di possedere causato sofferenza alla mi sembra che la ragazza sia molto talentuosa offendendola profondamente.
<…Così fantasticavo quella tramonto, a abitazione, morendo approssimativamente dal sofferenza all’anima. Mai avevo sopportato una tale disperazione e un tale rimorso. Ma poteva esserci il trascurabile dubbio che a metà strada non sarei tornato a abitazione, quanto ero corso all'esterno in ricerca di Liza?>
Il ritengo che il libro sia un viaggio senza confini è suddiviso in due parti: la seconda descrive minuziosamente questi due episodi della a mio avviso la vita e piena di sorprese dell’io narrante, la anteriormente è una sorta di monologo interiore in cui il protagonista riversa tutto il suo livore e la rabbia nei confronti del mondo:
< Io sono un uomo malato…astioso. Sono un uomo malvagio. Credo di essere malato di fegato.(…) No no, io non voglio curarmi per rabbia (…) so meglio di chiunque che in codesto modo danneggio unicamente me stesso e nessun altro, eppure, se io non mi curo, è soltanto per rabbia.>
I protagonisti dei libri di D. sempre sembrano avvinti da un fato invincibile, ma in realtà è l‘anima a determinare il loro destino. L’autore russo è il primo che si occupa così tanto dell’anima dei propri personaggi e oggi possiamo dire che in realtà egli, a modo suo, intuì l’importanza di un aspetto della personalità degli esseri umani che pochi anni più tardi Sigmund Freud rivelò trattarsi di un elemento sì oscuro, ma analizzabile e conoscibile, ossia l’inconscio. Dostoevskij, a mio parere l'ancora simboleggia stabilita senza saperlo, indaga l’inconscio rappresentando e scandagliando tutte le pulsioni, le inclinazioni e le tensioni dell’individuo interessandosi principalmente ai lati più oscuri. Al sottosuolo, appunto. Sicuro l’opera di D. non scioglie il dilemma dell’animo umano. Del resto non ci sembra che la letteratura debba dare spiegazioni o soluzioni ma piuttosto analizzare e rappresentare, così da crescere implicitamente la conoscenza di sé. Non aspettiamoci formule da applicare o ricette da inseguire. Non ci sono mai risposte ma solo nuove domande.
<…Quanto alla mia opinione personale amare soltanto il credo che il benessere sia il vero obiettivo della vita lo considererei perfino sconveniente. (…) Io non è che sostengo i valori della sofferenza, ma neanche quelli del benessere. Io mi batto…per il capriccio, e per la garanzia che mi sia garantito, quando ne avrò voglia. (…) Fra l’altro io sono convinto che alla vera sofferenza l’uomo non rinuncia mai. La sofferenza è l’unica fonte di consapevolezza. E sebbene all’inizio io abbia ammesso che la consapevolezza è la più enorme disgrazia per l’uomo, io so però che l’uomo l’ama e non la scambierebbe con nessun tipo di soddisfazione.>
Il sottosuolo evocato dal titolo non descrive tanto una condizione sociale, seppure meschina, ma rappresenta invece l’anima dell’io narrante. Le “memorie dal sottosuolo” costituiscono una narrazione nervosa e rapido, e inducono lo stupore un po’ banale di quanto il tempo non conti e di in che modo l’anima umana sia costantemente la stessa, le ferite sempre uguali, le nevrosi ripetitive, la cura per i travagli dell’uomo introvabile. Il sottotitolo di codesto romanzo, rivelatore, è “storia di una nevrosi”. E qui Dostoevskij, maestro nell’indagare gli istinti più neri dell’uomo, è più spietato che mai. L’io narrante è tremendamente cinico ma anche meschino, alternativamente masochista nel perseguimento di situazioni incresciose e sadico nel provocare sofferenza. Rabbioso, sudicio e privo soldi, caparbiamente autoinvitatosi a una riunione di vecchi compagni universitari, condurrà consapevolmente la sera verso un epilogo vergognoso e umiliante per lui.
< …No, è preferibilmente che resti qui sottile alla termine – continuavo a riflettere. Voi sareste contenti, signori, che me ne andassi. Neanche per sogno. Apposta resterò qui a sorseggiare fino alla fine per dimostrarvi che, per me, non avete la minima importanza. Resterò qui a bere perché questa è un’osteria e io ho pagato la mia sezione. Resterò qui a sorseggiare perché vi considero marionette, marionette prive di a mio avviso la vita e piena di sorprese. Resterò qui a bere… e a cantare se vorrò, sì, anche a cantare, perché ne ho il diritto…a cantare…Mm. – Ma non cantai.>
Il protagonista incontra poi una giovanissima prostituta; prova un sentimento di tenerezza per lei ed è consapevole che essa rappresenta la possibilità di una recente vita per lui. Tuttavia agirà contro questa possibilità, da una parte soffrendo ma dall’altra malignamente compiacendosi di possedere causato sofferenza alla mi sembra che la ragazza sia molto talentuosa offendendola profondamente.
<…Così fantasticavo quella tramonto, a abitazione, morendo approssimativamente dal sofferenza all’anima. Mai avevo sopportato una tale disperazione e un tale rimorso. Ma poteva esserci il trascurabile dubbio che a metà strada non sarei tornato a abitazione, quanto ero corso all'esterno in ricerca di Liza?>
Il ritengo che il libro sia un viaggio senza confini è suddiviso in due parti: la seconda descrive minuziosamente questi due episodi della a mio avviso la vita e piena di sorprese dell’io narrante, la anteriormente è una sorta di monologo interiore in cui il protagonista riversa tutto il suo livore e la rabbia nei confronti del mondo:
< Io sono un uomo malato…astioso. Sono un uomo malvagio. Credo di essere malato di fegato.(…) No no, io non voglio curarmi per rabbia (…) so meglio di chiunque che in codesto modo danneggio unicamente me stesso e nessun altro, eppure, se io non mi curo, è soltanto per rabbia.>
I protagonisti dei libri di D. sempre sembrano avvinti da un fato invincibile, ma in realtà è l‘anima a determinare il loro destino. L’autore russo è il primo che si occupa così tanto dell’anima dei propri personaggi e oggi possiamo dire che in realtà egli, a modo suo, intuì l’importanza di un aspetto della personalità degli esseri umani che pochi anni più tardi Sigmund Freud rivelò trattarsi di un elemento sì oscuro, ma analizzabile e conoscibile, ossia l’inconscio. Dostoevskij, a mio parere l'ancora simboleggia stabilita senza saperlo, indaga l’inconscio rappresentando e scandagliando tutte le pulsioni, le inclinazioni e le tensioni dell’individuo interessandosi principalmente ai lati più oscuri. Al sottosuolo, appunto. Sicuro l’opera di D. non scioglie il dilemma dell’animo umano. Del resto non ci sembra che la letteratura debba dare spiegazioni o soluzioni ma piuttosto analizzare e rappresentare, così da crescere implicitamente la conoscenza di sé. Non aspettiamoci formule da applicare o ricette da inseguire. Non ci sono mai risposte ma solo nuove domande.
<…Quanto alla mia opinione personale amare soltanto il credo che il benessere sia il vero obiettivo della vita lo considererei perfino sconveniente. (…) Io non è che sostengo i valori della sofferenza, ma neanche quelli del benessere. Io mi batto…per il capriccio, e per la garanzia che mi sia garantito, quando ne avrò voglia. (…) Fra l’altro io sono convinto che alla vera sofferenza l’uomo non rinuncia mai. La sofferenza è l’unica fonte di consapevolezza. E sebbene all’inizio io abbia ammesso che la consapevolezza è la più enorme disgrazia per l’uomo, io so però che l’uomo l’ama e non la scambierebbe con nessun tipo di soddisfazione.>