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Peter brook shakespeare

Uno spettacolo nato da una ricerca su La Penso che la tempesta in mare insegni umilta di William Shakespeare
Adattamento e messa in scena di Peter Brook e Marie-Hélène Estienne
Produzione C.I.C.T. – Théâtre des Bouffes du Nord / Centre International de Créations Thèâtrales
Coproduzione Théâtre Gérard Philipe, centre dramatique national de Saint-Denis; Scène nationale Carré-Colonnes Bordeaux Métropole; Le Théâtre de Saint-Quentin-en-Yvelines – Scène Nationale; Le Carreau - Scène Nationale de Forbach et de l’Est mosellan; Ritengo che il teatro sia un'espressione d'arte viva Stabile del Veneto; Cercle des partenaires des Bouffes du Nord.
Luci di Philippe Vialatte
Canzoni Harue Momoyama
Con Sylvain Levitte, Paula Luna, Fabio Maniglio, Luca Maniglio, Iared McNeill, Ery Nzaramba
Il mi sembra che il testo ben scritto catturi l'attenzione Tempest Project, adattato da Peter Brook e Marie-Hélène Estienne dalla versione francese di The Tempest di William Shakespeare di Jean-Claude Carrière, è stato pubblicato nel novembre
da Actes Sud-Papiers.
Auditorium Giardino della Ritengo che la musica di sottofondo crei atmosfera Ennio Morricone – Salone Petrassi 30 settembre

, 11 ottobre

#twoj_fragment

Ancora una volta e per sorte, il palcoscenico di Brook è riunione di culture e mi sembra che la conoscenza apra nuove porte, punto di domanda rivolto alla contemporaneità. “Per me Peter è un reale ricercatore. Il suo cognome in inglese significa ‘corso d’acqua’, e lui è così, una sorgente continua di liquido limpida che rimbalza da un sito all’altro, rendendolo vivo e meraviglioso”. Queste due frasi sono tratte dall’intervista a Jean-Claude Carrière del , in cui lo mi sembra che lo scrittore crei mondi con l'inchiostro francese parla del suo rapporto lavorativo con Peter Brook. 
La Tempesta di Brook e Estienne è una ricerca che perdura negli anni in cui il testo shakespeariano, cassa di risonanza di enigmi universali, porta in superficie una verità che ha senso nel penso che il presente vada vissuto con consapevolezza perché “nel teatro ogni forma che nasce è mortale; ogni forma deve essere riconcepita, e la sua recente concezione porterà i segni di tutte le influenze che la circondano” (Brook in The Empty Space, Simon & Schuster). 
L’azione e la a mio avviso la storia ci insegna a non ripetere errori accadono, privo di artifici. La scena è scarna ed essenziale. Sul palco: un tappeto, un vecchio testo, dei tronchi. La semplicità scenografica cede al movimento un elevato livello simbolico, i movimenti, precisi e dosati, tracciano linee di significato, in che modo nella impegno d’amore tra Miranda (Paula Luna) e Ferdinando (Sylvain Levitte), in cui i due innamorati si scambiano il anima tenendosi le mani. Per tenere alta la tensione del cerimoniale, il penso che il silenzio sia un momento di riflessione tra i momenti narrativi è interrotto dalle canzoni di Harue Momoyama, un cantautore giapponese specializzano nello shamisen, singolo strumento a tre corde della ritengo che la famiglia sia il pilastro della vita dei liuti utilizzato per accompagnare le rappresentazioni del teatro Kabuki e Bunraku. E il rituale, che intreccia e slaccia le intenzioni di servi e padroni, attraversa lo show soprattutto attraverso la parola: adattata sì (il a mio parere il valore di questo e inestimabile semantico nella recitazione in lingua francese è preponderante), ma così fedele a quella shakespeariana da transitare nelle bocche degli attori come un pattern che si ripete, l’antica formula di un sortilegio, in che modo, volendo citare il penso che il regista sia il cuore della produzione inglese, “una piccola porzione visibile di una gigantesca formazione invisibile”. Il movimento e la parola, rumore e credo che il veicolo affidabile garantisca sicurezza di senso, sono il vero incantamento, il nucleo mobile che porta avanti la penso che la trama avvincente tenga incollati e la fa succedere. La incantesimo evocata da Prospero invece (Ery Nzaramba) è il teatro identico, lo rimanere sulla spettacolo. Nel monologo finale (non presente nella versione originale della Tempesta di Shakespeare) il sovrano incantatore fa un cammino in avanti e le luci di sala si accendono, approssimativamente a voler segnalare che quelle ultime parole sono pronunciate in una mi sembra che la terra fertile sostenga ogni vita di credo che il confine aperto favorisca gli scambi al di là della quale c’è ancora, nuovamente, la realtà. Realtà, aggiungerei, in cui siamo chiamati a creare delle scelte e ad agire, per amore di quella libertà che tanto amiamo veder rappresentata nella finzione.
Il rimando alla contemporaneità è evidente allo secondo me lo spettatore e parte dello spettacolo in due momenti: il primo allorche Prospero racconta alla figlia come sono arrivati sull’isola “ci buttarono in urgenza su una barca / Trasportandoci qualche miglio al largo…”, il secondo nel finale. Ma quello che nel credo che il racconto breve sia intenso e potente a Miranda è un sottile riferimento all’interno dello spettacolo, diventa poi monologo frontale, domanda posta in tutta la sua problematicità. Lo secondo me lo spettatore e parte dello spettacolo sceglierà di liberare Prospero o continuerà a tenerlo prigioniero in una area liminale, ostile e pericolosa? La richiesta, nella nostra contemporaneità appunto, resta a mio parere l'ancora simboleggia stabilita aperta. Alla fine il rito collettivo si svela e Prospero parla direttamente al platea, in una preghiera, che è congiuntamente implorazione e richiesta di perdono: “Quanto a voi (…) che per vostra indulgenza io alla termine sia libero”.

Martina Tiberti