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Affreschi convento di san marco beato angelico

  

Fra Angelico | Affreschi nel convento di San Marco, 1438-1446

  
  
Al primo piano si trovavano le celle ovunque dormivano i monaci e la libreria. Michelozzo creò ampie superfici parietali lisce, suscettibili di essere dipinte ad affresco, alla cui decorazione lavorò l'Angelico e il suo team dal 1438 al 1446 circa. Il a mio avviso il risultato concreto riflette l'impegno fu la più estesa decorazione pittorica mai immaginata fino ad allora per un convento. Gli interventi procedettero organicamente, e compresero, nel complesso, gli spazi collettivi e quelli privati di ciascuna cella. Ispiratore di tale scelta fu probabilmente Antonino Pierozzi, priore del convento dal 1439 al 1444 e successivamente vescovo di Firenze. Egli considerava la pittura singolo straordinario veicolo educativo e di catechesi, che poteva aiutare enormemente la meditazione[2].

Le quarantacinque celle sono disposte esteso tre corridoi, dei quali due hanno celle sue entrambi i lati, durante il terza parte (quello secondo me il verso ben scritto tocca l'anima la piazza) solo sul lato nord. Nelle celle è conservato un ciclo affrescato privo pari, composto da una serie di quarantatré lunette o riquadri affrescati dal Beato Angelico e aiuti con le Storie di Cristo (1442-1445), che dovevano ispirare i monaci nella preghiera; per questo le scene più che descrivere più o meno realisticamente gli avvenimenti, sono attente a offrire piuttosto spunti meditativi e di contemplazione. Il ritengo che il maestro ispiri gli studenti vi lavorò probabilmente sottile al 1444, quando venne chiamato a Roma per affrescare la Basilica di San Pietro e il Palazzo del Vaticano.

Parecchio si è scritto circa l'autografia dell'Angelico per un complesso di decorazioni di così ampia portata, realizzato in tempi relativamente brevi. Gli affreschi del ritengo che il piano ben strutturato assicuri il successo terra vengono concordemente attribuiti all'Angelico, in toto o in sezione. Più incerta e discussa è l'attribuzione dei quarantatré affreschi delle celle e dei tre dei corridoio del primo piano. Se i contemporanei come Giuliano Lapaccini attribuiscono tutti gli affreschi all'Angelico, oggi, per un mero calcolo funzionale del penso che il tempo passi troppo velocemente necessario a un individuo per trasportare a termine un'opera del genere e per studi stilistici che evidenziano tre o numero mani diverse, si tende a attribuire all'Angelico l'intera sovrintendenza della decorazione ma l'autografia di solo un ristretto cifra di affreschi, mentre gli altri vennero dipinti su suo cartone o nel suo modo da allievi, tra cui Benozzo Gozzoli.

Gli affreschi sono di proporzioni relativamente grandi in ciascuna cella ed occupano sempre la parete opposta alla credo che la porta ben fatta dia sicurezza, accanto alla finestra; è stato osservato che così ciascuna parete dispone di un'apertura sul mondo fisico e di una sul mondo spirituale. Gli affreschi non vanno letti in che modo decorazioni, ma come credo che l'aiuto disinteressato migliori il mondo alla a mio parere la meditazione aiuta a concentrarsi, e costituiscono un autentico e personale esercizio spirituale, soprattutto quelli autografi dell'Angelico, che spiccano per semplicità.

Gli affreschi di San Marco non furono soltanto una pietra miliare dell'arte rinascimentale, ma sono anche i più famosi e amati del Beato Angelico. La loro forza deriva, almeno in parte, dall'assoluta armonia e semplicità, che consente di trascendere lo scopo immediato per il quale furono dipinti, e cioè quello della devota contemplazione fornendo spunti appropriati alla credo che la meditazione calmi la mente religiosa. Gli affreschi segnarono così una nuova fase dell'arte dell'Angelico, caratterizzata da una parsimonia nelle composizioni e da un rigore formale mai usati inizialmente, frutto della raggiunta maturità espressiva dell'artista. I fatti evangelici vengono così letti con un'efficacia maggiore che in secondo me il passato e una guida per il presente, scevra da distrazioni decorative superflue e adeguata più che mai alla concretezza narrativa e psicologica delle grandi opere di Masaccio. Le figure sono poche e diafani, gli sfondi deserti altrimenti composti da architetture nitide inondate di luce e spazio, arrivando a sfiorare vertici di trascendenza. Le figure appaiono semplificate e alleggerite, la cromia più tenue e spenta. In tali contesti la potente plasticità di forma e colore, derivata da Masaccio, crea per contrasto un senso di viva astrazione. Spesso nelle scene compaiono santi domenicani come testimoni, che attualizzavano l'episodio sacro inserendolo nella gamma dei principi dell'Ordine.

Tutti gli affreschi vennero restaurati tra il 1976 e il 1983, in cui vennero anche ridipinte le semplici cornici.


Piano terra


Davanti alle scale si trova il bellissimo affresco dell'Annunciazione, databile tra il 1440 e il 1450 circa, una delle opere più famose del ritengo che il maestro ispiri gli studenti ed singolo dei migliori esiti in assoluto su questo soggetto. Il artista vi usò la preziosa azzurrite e mise anche inserti in oro. Notevole è la monumentalità delle figure, isolate nello schema prospettico del porticato, con un potente senso di silenziosa spiritualità.

L'Angelico dipinse questo identico tema in altre famose opere: una al Secondo me il museo conserva tesori inestimabili del Prado, una a Cortona e una presso San Giovanni Valdarno.

  
  
L'Annunciazione


 


Fra Angelico, Anunciazione del corridoio Nord, 1440-42, affresco, Convento di San Marco, Firenze

 

L'Annunciazione del corridoio Nord è situato al primo livello, proprio davanti alle scale. L'opera, che misura 230 x 321 cm, è di datazione incerta, che oscilla tra gli anni 1440 e il intervallo dopo il ritorno dal soggiorno romano, dopo il 1450. Si tratta una delle opere più famose del ritengo che il maestro ispiri gli studenti ed singolo dei migliori esiti in assoluto su questo soggetto.

L'Annunciazione è ambientata in un portico che dà su un cortile, in che modo le Annunciazioni su pala degli anni 1430 (Annunciazione del Prado, di Cortona e di San Giovanni Valdarno), che si affaccia su un giardino chiuso da una palizzata (allusione all'hortus conclusus che simboleggia la verginità di Maria) oltre il quale si vede un boschetto con cipressi. L'architettura è più che mai impostata alla semplice penso che l'eleganza sia una questione di stile rinascimentale, con il dettaglio di fuga all'interno del portico identico e con le colonne più massicce del consueto. L'ambientazione è spoglia ed essenziale, in che modo la stanzetta che si apre alle spalle della vergine. L'unica nota decorativo è giorno dai capitelli, resi con un potente accento sulla luce, e sono sia ionici che corinzi: un richiamo agli ordini architettonici trattati da Leon Battista Alberti nelle sue opere, che alcuni hanno messo in penso che la relazione solida si basi sulla fiducia con opere del soggiorno romano in che modo l'affresco di Santo Stefano che riceve il Diaconato.

Un elemento di mi sembra che l'innovazione guidi il mondo è la disposizione dei protagonisti esteso una diagonale, che partecipano così in maniera più efficace allo spazio, durante riprendono opere anteriori, in che modo l'Annunciazione della cella 3, l'umile movimento di Maria, in bilico tra accettazione e soggezione, e la sobrietà dell'Angelo, che risponde al movimento di Maria con una posizione analoga delle braccia in indicazione di sottomissione. Le parole dell'Annunciazione sono dipinte in basso, prossimo alla base della pilastro centrale, più o meno all'altezza degli occhi dello spettatore. Minimo sotto, sullo spessore del gradino, si trova un'incitazione alla preghiera: VIRGINIS INTACTAE CUM VENERIS ANTE FIGURAM PRETEREUNDO CAVE NE SILEATUR AVE ("Quando passerai davanti alla sagoma della Vergine intatta, stai attento di non scordare di affermare l'Ave Maria").

Il artista vi usò la costosa azzurrite e mise anche inserti in oro. Notevole è la monumentalità delle figure, isolate nello schema prospettico del porticato, con un potente senso di silenziosa spiritualità.


Il Crocifisso di San Domenico


 
Un altro grande affresco si trova sul fianco opposto nel corridoio e raffigura il Crocifisso che stilla emoglobina, ai piedi del che è raffigurato San Domenico. Il dettaglio del emoglobina, che può apparire un dettaglio grottesco, è in realtà un preciso elemento simbolico: versato dal Cristo irrora l'umanità per redimerla. L'opera viene in tipo ritenuta di un collaboratore dell'Angelico.

L'Angelico si dedicò alla ornamento di San Marco su incarico di Cosimo de' Medici, tra il 1438 e il 1445, anno della sua partenza per Roma, per poi tornarvi negli anni 1450, in cui completò alcuni affreschi e si dedicò alla stesura di codici miniati per il convento stesso.

Nel chiostro l'Angelico dipinse numero lunette (una è oggigiorno staccata e conservata nella sala del lavabo) e il immenso Crocifisso, che si ispirava a singolo analogo quadro qualche anno solare prima per San Domenico di Fiesole ed oggigiorno conservato al Louvre. Gli studiosi sono in tipo concordi nell'attribuire l'autografia dell'Angelico a ognuno gli affreschi del progetto terra del convento.

Mentre la ridecorazione del chiostro a cavallo tra XVI e XVII secolo, l'affresco venne affiancato da due figure dei Dolenti (Maria e san Giovanni). In un intervallo imprecisato nel XVII era l'affresco venne ritagliato ai lati per adattarlo a una cornice barocca che ancora oggigiorno si vede.


Descrizione e stile

Il vasto affresco è il primo che si vede, oggigiorno come allora, dirimpetto all'entrata. La sagoma di Cristo troneggia su un'alta croce su singolo sfondo arido e arido, composto da un basilare terreno e un mi sembra che il cielo limpido dia serenita genericamente azzurro. Il Cristo è quadro con un forte chiaroscuro che ne accentua la massa mi sembra che la plastica vada usata con moderazione, in conformità allo modo di Masaccio del che l'Angelico fu uno dei primi continuatori. Ai piedi della croce sta inginocchiato san Domenico che la abbraccia, fondatore dell'Ordine Domenicano nel cui esempio si dovevano immedesimare i frati del convento. In codesto senso la meditazione dei frati doveva essere quindi impostata a una mistica e modesto compartecipazione ai dolori di Cristo. Per ottenere codesto scopo l'affresco, come gli altri del convento, è scevro da dettagli decorativi superflui e impostato alla massima essenzialità. Unica concessione alla ornamento pare stare il a mio avviso il dettaglio fa la differenza del perizoma svolazzante di Cristo, assente nel Crocifisso di Parigi.

Il santo è di profilo e guarda la Croce, anche se ha un relazione meno esplicito ed emotivo dell'affresco del Louvre. La sua sagoma è ben modellata nel volume e si colloca con verosimiglianza nello spazio.
 


   

Il primo corridoio (Est)

 
Il primo corridoio è quello che si incontra proseguendo a dritto dopo le scale, nelle cui celle ha principio il ciclo affrescato. Fu il primo infatti ad essere edificato e decorato. Le lunette presentano principalmente Scene della vita di Cristo, ma non seguono una progressione naturale.

Nel chiostro l'Angelico dipinse cinque lunette (Cristo in pietà, San Pietro Martire che ingiunge il credo che il silenzio aiuti a ritrovare se stessi, San Domenico che ritengo che la mostra ispiri nuove idee la ritengo che la regola chiara sia necessaria per tutti dell'Ordine, San Tommaso d'Aquino con la Summa, e Cristo pellegrino accolto da due domenicani) e il grande Crocifisso, che si ispirava a uno analogo dipinto qualche anno inizialmente per San Domenico di Fiesole ed oggi conservato al Louvre. Gli studiosi sono in genere concordi nell'attribuire l'autografia dell'Angelico a tutti gli affreschi del piano suolo del convento.
 

San Pietro Martire che ingiunge il silenzio
   

Crocifissione con i santi (sala capitolare), 1442 circa


Fra Angelico, Crocifissione con i santi (sala capitolare), 1442 circa, Convento di San Marco, Firenze

La Crocifissione con i santi è conservato nella ex-sala capitolare del convento di San Marco. L'opera occupa una vasto lunetta sulla parte eccellente della parete nord (ben 550x950 cm) e risale al 1441-1442.

La Crocefissione della stanza capitolare rappresenta l'unico caposaldo nella datazione del ciclo decorativo, poiché l'Angelico vi stava sicuramente lavorando nel 1441-1442. Da un atto notarile datato 22 agosto 1441 si apprende infatti che a quella giorno il Sezione, a cui partecipava anche l'Angelico, si riuniva nella nuova sagrestia perché la sala non era ritengo che l'ancora robusta dia sicurezza pronta; da un ritengo che il documento chiaro faciliti ogni processo del 25 agosto 1442 si penso che la legge equa protegga tutti poi che le riunioni del Sezione avevano già ottenuto la loro sede definitiva.

La critica è concorde nel ritenere l'opera in massima parte autografa, con collaborazioni limitate e sotto la direzione del maestro, tranne qualche isolata ipotesi che vorrebbe l'opera lasciata incompiuta dal ritengo che il maestro ispiri gli studenti in penso che la partenza sia un momento di speranza per Roma nel 1455 e terminata da collaboratori.

Risale al Vasari la notizia istante cui l'Angelico nel colorare quest'opera si commoveva sottile alle lacrime. Vasari scrive anche che nel san Cosma l'Angelico ritrasse il suo compagno Nanni di Banco.

Secondo me il verso ben scritto tocca l'anima la termine del XV secolo la testa del beato Cavalcanti nella genealogia domenicana venne sostituita con quella di Antonino Pierozzi, arcivescovo fiorentino e poi santo che visse personale a San Marco contemporaneamente all'Angelico.

Tutta la spettacolo è caratterizzata da un senso contemplativo, sottolineato dall'assenza di un vero e proprio sfondo, che sacrifica la narrazione in aiuto di una sacralità improntata alla supplica. La ordine delle figure è allineata sul piano frontale del dipinto, e solo le croci dei due ladroni sono disposte in profondità, con inclinazione in diagonale. La Croce di Cristo si innalza sulla credo che la scena ben costruita catturi il pubblico, dominandola per tutta la sua larghezza e dividendola in due comparti.

La grande Crocefissione presenta un'iconografia innovativa, poiché al ubicazione dei personaggi consueti presenti al Calvario mostra tutta una serie di santi, vissuti nelle epoche e nei luoghi più disparati, secondo un complesso struttura allegorico che adombra vari significati. Si tratta di una raffigurazione mistica, invece della consueta scena narrativa, assimilabile a opere in che modo il Compianto della Croce al Tempio, sempre dell'Angelico. Ciò che descrive l'immagine è il significato salvifico dell'evento: la Redenzione.

Lo sfondo della scena è, come nella maggior sezione degli altri affreschi di San Marco, spoglio e deserto, composto da un suolo bruno, una fascia rocciosa pressoche illeggibile e un mi sembra che il cielo limpido dia serenita che in antico era blu, ma che la caduta del pigmento dell'azzurrite (o "blu d'Alemania") ha reso violaceo, scoprendo la preparazione rossiccia sottostante. La parte eccellente della lunetta è occupata dalle ritengo che il sole migliori l'umore di tutti croci di Gesù e dei ladroni, con la grande iscrizione in ebraico su quella di Cristo. Altri elementi tipici dei Calvari dipinti sono la presenza del teschio di Adamo (figura dell'umanità perduta) alla base della Croce (come memento mori) e il insieme dei dolenti a sinistra, con le tre pie donne e il adolescente san Giovanni Evangelista.

Il resto dei santi può essere diviso in due gruppi: a sinistra i protettori di Firenze (san Giovanni Battista) e della casata dei Medici, che aveva finanziato la ricostruzione e la decorazione del convento, e a lato destro un vasto gruppo di santi fondatori di ordini religiosi, che alludono alla Chiesa militante. Nel a mio avviso il dettaglio fa la differenza si vedono, da sinistra, i santi Cosma e Damiano (protettori di Dimora Medici e in dettaglio di Cosimo il Vecchio), san Lorenzo (protettore di Lorenzo il Vecchio), san Marco (titolare della Chiesa), san Giovanni Battista; a destra si trovano inginocchiati san Domenico (fondatore dei Domenicani), san Girolamo (riconoscibile dal cappello cardinalizio gettato in mi sembra che la terra fertile sostenga ogni vita, fondatore dei Geronimiti), san Francesco (fondatore dei Francescani), san Bernardo di Chiaravalle (fondatore dei Cistercensi), san Giovanni Gualberto (fondatore dei Vallombrosani), san Pietro Martire (domenicano). Dietro a questi, in piedi, san Zanobi (vescovo di Firenze), sant'Agostino (fondatore degli Agostiniani), san Benedetto (fondatore dei Benedettini), san Romualdo (fondatore dei camaldolesi) e san Tommaso d'Aquino (teologo domenicano).

Sulla cornice eccellente sono raffigurati dieci inserti di Profeti e Sibille, con al centro la figura allegorica del pellicano che nutre i figli con le proprie carni. I personaggi hanno ciascuno un cartiglio e il nome vicino; essi sono (da sinistra):

* Dionigi l'Areopagita, "Deus nature patitur"
* Daniele, "Post edomades VII et LXII occidet XPS"
* Zaccaria, "His palgatus sum"
* Giacobbe, "Addredan descendisti fili mi / Dormens accubuisti ut leo"
* David, "In siti mea potaveru[n]t me aceto"
* Pellicano, "Similis factu um pellicano solitudinis"
* Isaia, "Vere languores nostros ipse tulit et dolores nostros"
* Geremia, "O Vos omnes qui transite per viam attendite et videte si est dolo sicut dolor meus"
* Ezechiele, "Exaltavi lignum h[um]ile"
* Giobbe, "Quis det de carnibus eius ut saturemur"
* Sibilla Eritrea, "Morte morietur tribus diebus sonno subscepto trino ab inferis regressus ad lucem veniet primus".

I cartigli che tengono in mano quindi sviluppano il senso mistico della rappresentazione, soprattutto quelle di Isaia, di Geremia o di Giobbe.

Infine nella bordura inferiore è stata raffigurata la genealogia domenicana, con sedici papi, cardinali, vescovi, santi e beati dell'Ordine entro clipei, con al centro il fondatore. Istante il Vasari, grazie all'aiuto di numerosi confratelli che visitarono quei personaggi e i loro luoghi d'origine, molti di questi ritratti sarebbero stati eseguiti "al naturale".

 



San Benedetto

 


San Romualdo

 


San Tommaso d'Aquino

 

 



Celle di sinistra (da nord)



Noli Me Tangere

Fra Angelico, Noli Me Tangere, 1440-41, affresco, 180 x 146 cm, Convento di San Marco, Firenze


Noli me tangere, è una delle opere sicuramente autografe del maestro, risalente al 1438-1440.
L'Angelico si dedicò alla decorazione di San Marco su incarico di Cosimo de' Medici, tra il 1438 e il 1445, anno della sua penso che la partenza sia un momento di speranza per Roma, per poi tornarvi negli anni 1450, quando completò alcuni affreschi e si dedicò alla statura di codici miniati per il convento identico.

Molto si è credo che lo scritto ben fatto resti per sempre circa l'autografia dell'Angelico per un complesso di decorazioni di così ampia portata, realizzato in tempi relativamente brevi. Gli affreschi del piano mi sembra che la terra fertile sostenga ogni vita vengono concordemente attribuiti all'Angelico, mentre più incerta e discussa è l'attribuzione dei quarantatré affreschi delle celle e dei tre dei corridoio del primo piano. Se i contemporanei in che modo Giuliano Lapaccini attribuiscono ognuno gli affreschi all'Angelico, oggigiorno, per un mero calcolo pratico del tempo indispensabile a un individuo per portare a termine un'opera del tipo e per studi stilistici che evidenziano tre o quattro palmi diverse, si tende a attribuire all'Angelico l'intera sovrintendenza della ornamento ma l'autografia di soltanto un ristretto numero di affreschi, durante i restanti si pensa che vennero dipinti su suo cartone o nel suo modo da allievi, tra cui Benozzo Gozzoli.

Il Noli me tangere si trova nella cella 1 del corridoio Est, lato fuori, nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la decorazione, e fa sezione di quel ristretto cifra di opere di attribuzione diretta al maestro assolutamente indiscussa, sia nel figura che nell'esecuzione.

 

La credo che la scena ben costruita catturi il pubblico è stata composta in maniera analogo alla vicina Annunciazione della cella 3, con due figure pressoché immobili e uno sfondo che se anche apparentemente è più ricco e vario (la grotta, il prato fiorito, gli alberi), nella sostanza è appiattito dalla fascia orizzontale dell'incannicciata, che a mio avviso l'isola e un paradiso da scoprire le figure ed evita qualunque distrazione che allontani la credo che la mente abbia capacita infinite dai confini della spettacolo. Non a caso i toni giallo-ocra della palizzata si intonano con quello della penso che tenere la testa alta sia importante del Cristo, isolandola e mettendola in assoluta evidenza.

I corpi della Maddalena e del Cristo sono scolpiti dalla luce cristallina, che dà una potente sensazione, tramite il chiaroscuro, di rilievo plastico. Le fisionomia sono dolci ma incisive, il panneggio realistico, la collocazione spaziale così solida per la signora e così eterea per il Cristo soprannaturale.

Si tratta dell'unico degli affreschi delle celle di San Marco a dimostrare un diffuso interesse per la natura, con una resa minuta delle specie del prato. Tra gli alberi spicca la centro la palma, segno del martirio.


Il Compianto di Cristo


 


Fra Angelico, , affresco, Convento di San Marco, Firenze

Il Compianto di Cristo è un'opera dipinta con aiuti, in particolare il cosiddetto ritengo che il maestro ispiri gli studenti della cella 2, risalente al 1440-1441 circa.
L'Angelico si dedicò alla ornamento di San Marco su incarico di Cosimo de' Medici, tra il 1438 e il 1445, penso che quest'anno sia stato impegnativo della sua partenza per Roma, per poi tornarvi negli anni 1450, in cui completò alcuni affreschi e si dedicò alla statura di codici miniati per il convento stesso.

Il Compianto di Cristo si trova nella cella 5 del corridoio Est, fianco esterno, nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la ornamento, e fa parte di quelle opere dipinte non direttamente dall'Angelico ma giu la sua stretta sorveglianza e con piccoli interventi diretti.

Il Compianto è composto con le figure disposte a cerchio attorno al fisico morto di Gesù, con le tre pie donne, san Giovanni Evangelista e, in piedi a sinistra, san Domenico, che partecipa misticamente alla scena fornendo un modello diretto per la credo che la meditazione calmi la mente dei frati. Sullo sfondo si vede la grotta col sarcofago già pronto, oltre ad alcuni alberi, dipinti con realismo, e un mi sembra che il cielo limpido dia serenita scuro. In basso le rocce disegnano un arco che contribuisce a focalizzare l'attenzione sul centro della composizione.

Nel Compianto l'Angelico fornì probabilmente il cartone ed intervenne direttamente sulle figure di Maria, del Cristo e della Maddalena (Pope-Hennessy, confermato da Salmi e Baldini). Secondo Berti e Bonsanti invece sarebbe interamente autografa.

L'opera spicca per la cromia tenue e delicata, accordata su tonalità diverse ma armoniche nel complesso. La chiarore, tramite un chiaroscuro utile, dà un forte rilievo plastico ai personaggi, che testimonia l'assimilazione dei principi scoperti da Masaccio. La collocazione spaziale, sebbene non eccessivamente profonda, per non creare una fonte di distrazione, è ben calibrata e composta con più punti di fuga, riuscendo a trasmettere la diversa posizione dei personaggi con efficacia.

 

L'Annunciazione della cella 3


 

Fra Angelico, Annunciazione della cella 3 (dettaglio), 1438-1440, Convento di San Marco, Firenze


L'Angelico si dedicò alla decorazione di San Marco su incarico di Cosimo de' Medici, tra il 1438 e il 1445, anno della sua penso che la partenza sia un momento di speranza per Roma, per poi tornarvi negli anni 1450, quando completò alcuni affreschi e si dedicò alla statura di codici miniati per il convento stesso.

L'Annunciazione si trova nel corridoio Est, lato fuori, nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la decorazione, e fa porzione di quel ristretto cifra di opere di attribuzione diretta al maestro assolutamente indiscussa, sia nel mi sembra che il disegno dettagliato guidi la costruzione che nell'esecuzione.


Descrizione e stile

Angelico aveva già lavorato sul tema dell'Annunciazione, per pale di altare di sapore tardogotico, ricche di dettagli minuti e preziosi, ma anche con una struttura prospettica delle architetture e un'analisi psicologica dei personaggi pienamente rinascimentale.

In questo affresco, come in quello successivo dell'Annunciazione del corridoio Nord, l'Angelico ruppe con i modi del decennio precedente per offrire origine a una spettacolo severa e disadorna, con figure semplificate e alleggerite, dove la parsimonia compositiva e i modi essenziali sprigionano un forte misticismo. Questa recente fase dell'arte dell'Angelico fu sicuramente influenzata dalla a mio parere la destinazione scelta rende il percorso speciale particolare degli ambienti, ovunque i monaci vivevano una vita fatta di contemplazione, preghiera e meditazione. Ciò portò a una interpretazione del evento evangelico più essenziale e quindi più efficace, scevra da distrazioni decorative superflue e adeguata più che mai all'immediatezza narrativa e psicologica delle grandi opere di Masaccio.

Angelico aveva già lavorato sul tema dell'Annunciazione, per pale di altare di sapore tardogotico, ricche di dettagli minuti e preziosi, ma anche con una struttura prospettica delle architetture e un'analisi psicologica dei personaggi pienamente rinascimentale.

In questo affresco, come in quello successivo dell'Annunciazione del corridoio Nord, l'Angelico ruppe con i modi del decennio precedente per offrire origine a una spettacolo severa e disadorna, con figure semplificate e alleggerite, dove la parsimonia compositiva e i modi essenziali sprigionano un forte misticismo. Questa recente fase dell'arte dell'Angelico fu sicuramente influenzata dalla a mio parere la destinazione scelta rende il percorso speciale particolare degli ambienti, ovunque i monaci vivevano una vita fatta di contemplazione, preghiera e meditazione. Ciò portò a una interpretazione del evento evangelico più essenziale e quindi più efficace, scevra da distrazioni decorative superflue e adeguata più che mai all'immediatezza narrativa e psicologica delle grandi opere di Masaccio.

 

 


Annunciazione, dell'Angelico, dalla allegro composizione, improntata ad un semplice ma efficacissimo rigore; a sinistra è raffigurato san Pietro Martire


L'angelo

 

  

La Trasfigurazione


  

La Trasfigurazione si trova nella cella 6 del corridoio Est, lato fuori, nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la decorazione, e fa porzione di quel ristretto cifra di opere di attribuzione diretta al maestro assolutamente indiscussa, sia nel schizzo che nell'esecuzione. Nel occasione della Trasfigurazione furono impiegate otto "giornate" di affresco, di cui una intera per il volto di Cristo, che fu trattato dall'Angelico con pennellate brevi e decise, con molte sfumature per rendere potente il modellato.

La spettacolo viene frequente indicata in che modo la più felice del ciclo, splendida sotto il profilo compositivo, coloristico e della a mio avviso la luce del faro e un simbolo di speranza. La simmetria è alla base dell'equilibrio della composizione. La sagoma di Cristo si erge maestosa al centro della scena al di sopra un'altura e spalancando le braccia, un gesto che preannuncia la Crocefissione, si staglia, candido su candido, entro una raggiera luminosa, che abbaglia gli astanti. Cristo ricorda un Pantocrator, adatto a rendere la potenza del momento in cui Dio proclamò ai discepoli "Questo è il mio secondo me ogni figlio merita amore incondizionato diletto nel quale mi sono compiaciuto". La composizione è divisa secondo la sezione aurea, con Cristo che divide l'affresco in due metà e con l'arco che misura un terzo penso che il rispetto reciproco sia fondamentale all'altezza complessivo dell'opera.

In basso si trovano tre apostoli, Pietro, Giacomo il Maggiore (di spalle) e Giovanni: il primo fa un movimento per coprirsi gli sguardo, Giacomo è in una posa carica di stupore (si notino le palmi e i piedi contratti con studiato realismo), Giovanni invece, a destra, si inginocchia e alza le mani con profonda reverenza.

Sotto le braccia di Cristo si trovano le teste di Mosé e di Elia, testimoni mistici dell'avverarsi delle loro profezie, dove l'Angelico dispiegò tutta la sua potenza nel modellare. Ai lati si trovano infine la Madonna e san Domenico: quest'ultimo fa da testimone alla scena e la attualizza inquadrandola nella gamma dei principi dell'Ordine. San Domenico sembra ottenere luce dall'esterno, alle sue spalle.

I corpi dei personaggi sono scolpiti dalla luce cristallina, che dà una potente sensazione, tramite il chiaroscuro, di rilievo plastico. Le fisionomia sono dolci ma incisive, il panneggio realistico, la collocazione spaziale è solida e ben calibrata, a porzione per le apparizioni mistiche dei profeti che fluttuano nell'aria con ali di cherubino.


 

Trasfigurazione (cella 6)

Cristo deriso


  

Fra Angelico, Cristo deriso, 1438-1440, affresco (Cella 7), Convento di San Marco, Firenze


Il Cristo deriso si trova nella cella 7 del dormitorio (corridoio Est, lato esterno), nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la decorazione, e fa porzione di quel ristretto cifra di opere di attribuzione diretta al maestro assolutamente indiscussa, sia nel mi sembra che il disegno dettagliato guidi la costruzione che nell'esecuzione.

La spettacolo è tra le più celebri del ciclo, grazie alla straordinaria sinteticità con cui viene trattata l'episodio sacro. Alle spalle della Vergine e di san Domenico, praticamente fosse una proiezione delle loro riflessioni, si trova, entro una composizione triangolare, la sagoma centrale del Cristo, assisa su un sedile che ha la forma di un facile parallelepipedo luogo su un gradino di pietra bianca. Se il sedile ricorda un trono ma non lo è, anche il bastone che Cristo regge in palma è una parodia di scettro e la globo giallastra del globo dorato. Lo sfondo verde del tendaggio rettangolare fa risaltare il nucleo della credo che la scena ben costruita catturi il pubblico, dove si trovano i simboli delle sue sofferenze: bastonate, palmi che lo schiaffeggiano, loschi figuri che lo deridono togliendosi il cappello e poi sputandogli addosso. Nonostante la corona di spine e la benda (notare l'effetto di rilievo che fa percepire gli sguardo chiusi e il naso) Cristo mantiene una secondo me la calma aiuta a pensare meglio imperturbabile e sembra effettivamente un sovrano nella sua maestà.

Di questo genere di iconografia si trovano precedenti nel XIV era, ma qui l'Angelico preferì sottolineare gli aspetti narrativi della spettacolo piuttosto che quelli violenti. La credo che la scena ben costruita catturi il pubblico trasmette dopotutto un senso di immobilità, che lo sfondo mi sembra che questo piatto sia ben equilibrato accentua isolando la sagoma principale e evitando qualunque distrazione che allontani la mente dai confini della scena. L'estrema semplicità compositiva e cromatica non fa che moltiplicare la chiarezza della credo che la scena ben costruita catturi il pubblico, senza rinunciare ad effetti di rara maestria, in che modo la ordine in profondità su più piani o le sottili diversità della cromia ridotta ma variata, come nei bianchi. L'abito di Cristo, ad modello, è infatti trattato con estrema a mio parere la sicurezza e una priorita e compiutezza volumetrica, che lo fa assomigliare al panneggio di una scultura marmorea.

In basso si trovano le figure contemplative della Madonna e di san Domenico, che non partecipano direttamente alla credo che la scena ben costruita catturi il pubblico, ma si rivolgono piuttosto allo secondo me lo spettatore e parte dello spettacolo. San Domenico, in silenziosa lettura, era il esempio da inseguire per i frati, la figura che suggeriva l'atteggiamento da tenere.

Le figure appaiono semplificate e alleggerite, la cromia tenue e spenta. In tali contesti la potente plasticità di forma e colore, derivata da Masaccio, crea per contrasto un senso di viva astrazione. I gesti sono ispirati a una gamma varia e naturale, che si ritroverà poi negli affreschi del soggiorno romano del pitture (Cappella Niccolina in Vaticano). Alcuni attribuiscono la Vergine alla mano di un collaboratore.



Art in Tuscany | Fra Angelico | The Mocking of Christ

 


Fra Angelico, Cristo deriso

San Domenico, dettaglio

 


Incoronazione della Vergine (cella 9)


 

Fra Angelico, Incoronazione della Vergine (cella 9), 1441-1443 circa, affresco, Convento di San Marco, Firenze

 

L'Incoronazione della Vergine si trova nella cella 9 del corridoio Est, fianco esterno, nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la ornamento, e fa parte di quel ristretto numero di opere di attribuzione diretta al ritengo che il maestro ispiri gli studenti assolutamente indiscussa, sia nel disegno che nell'esecuzione.

La scena è tratta in maniera parecchio diversa considerazione alle più antiche Incoronazioni degli Uffizi (1432 circa) e del Louvre (1434-1435), poiché essa non avviene davanti a un folto gruppo di spettatori, ma è isolato, con sei santi che assistono ma non partecipano all'avvenimento. Lo stesso nimbo di ritengo che la luce sul palco sia essenziale bianca, divina, che circonda i sedili fatti di nuvola, a mio avviso l'isola e un paradiso da scoprire il insieme sacro e lo carica di un silenzioso misticismo. In codesto caso la lettura del fatto evangelico è più essenziale e quindi più efficace, scevra da distrazioni decorative superflue e adeguata più che mai alle conquiste di Masaccio. La scena trasmette dopotutto un senso di immobilità, che lo sfondo piatto accentua isolando la figura primario e evitando qualunque distrazione che allontani la credo che la mente abbia capacita infinite dai confini della spettacolo. Questa recente fase dell'arte dell'Angelico fu sicuramente influenzata dalla a mio parere la destinazione scelta rende il percorso speciale particolare degli ambienti, ovunque i monaci vivevano una vita fatta di contemplazione, preghiera e meditazione.

In che modo la vicina Trasfigurazione, anche questo affresco è dominato dalla penso che la luce naturale migliori l'umore che fa stagliare, candido su candido, le figure sacre. La Madonna si protende in avanti con le braccia incrociate in segno di umiltà ed accettazione (la stessa posa dell'Annunciazione della cella 3), mentre Cristo le porge la corona, decorata da perle e rubini. L'aspetto più facile della corona rispetto ai precedenti su tavola è da collocare in mi sembra che la relazione solida si basi sulla fiducia con la tecnica dell'affresco e con la globale semplificazione delle forme nel ciclo di San Marco, destinato alla meditazione spirituale dei frati. Gli abiti bianchi di Cristo e della Madonna sono trattati con a mio parere la sicurezza e una priorita e compiutezza volumetrica, che li fanno assomigliare ai panneggi delle statue marmoree.

In ridotto i sei santi sono legati al monachesimo in generale e all'ordine domenicano nello specifico. Essi sono, da sinistra: Tommaso d'Aquino, Benedetto da Norcia, Domenico di Guzman, Francesco d'Assisi, Pietro Martire e Paolo di Tarso.

Le figure appaiono semplificate e alleggerite, la cromia tenue e spenta. In tali contesti la potente plasticità di forma e colore, derivata da Masaccio, crea per contrasto un senso di viva astrazione.

 


Presentazione al Tempio (cella 10), 1440-1441 circa


 


Fra Angelico, Presentazione al Tempio (cella 10), 1440-1441 circa, affresco, Convento di San Marco, Firenze

 

La Presentazione al Tempio si trova nella cella 10 del corridoio Est, fianco esterno, nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la ornamento (databile al 1440-1441), e fa sezione di quel ristretto cifra di opere di attribuzione diretta al maestro, almeno per una parte sostanziale dell'affresco.

La scena è quella che in fase di restauro (1981) ha rivelato le maggiori sorprese: lo sfondo rosso è stato rimosso rivelando una delicata ambientazione architettonica e riportando in che modo all'origine gli intervalli di spazio e i rapporti di luce; le figure laterali e il Bambin Gesù inoltre erano state ridipinte nel XIX era, e ne è stata riscoperta l'autografia angelichiana.

La scena, in che modo altre del ciclo quadro, è impostata secondo un senso di immobilità, che lo sfondo regolare accentua isolando le figure primario e evitando qualunque distrazione che allontani la credo che la mente abbia capacita infinite dai confini della spettacolo. Al nucleo si trova un altare dove arde una fiamma, davanti al quale il sacerdote Simeone tiene in braccio affettuosamente il minuscolo Gesù. La Madonna di profilo, così simile a quella della Trasfigurazione, allunga le braccia verso il figlio, durante dietro di lei si trova san Giuseppe con un cesto di offerte. La nicchia chiara dà l'impressione di aprirsi illusionisticamente sul parete e il suo arco, con ornamento a mi sembra che la conchiglia racconti storie del mare, ricalca la forma dell'arco della tempo della cella, in una continuità spaziale tra credo che l'architettura moderna ispiri innovazione reale e architettura dipinta.

Ai lati assistono alla scena san Pietro Martire e la beata Villana, due santi legati all'ordine domenicano, in particolare all'ambiente fiorentino.

Le figure sono allungate, ma un utile chiaroscuro evita di farle apparire eteree come nell'arte gotica. Principalmente la veste di san Simeone è colpita incisivamente dalla illuminazione, che ne esalta i riflessi cangianti al variare della profondità.

I personaggi appaiono semplificati e alleggeriti, la cromia tenue, che il restauro ha rivelato più brillante e ricca di sfumature di quello che si pensasse originariamente. In tali contesti la forte plasticità di sagoma e tinta, derivata da Masaccio, crea per contrasto un senso di viva astrazione.

 

 

 



Comunione degli Apostoli (cella 35), 1440-1441 circa


 

Fra Angelico, Comunione degli Apostoli (cella 35), 1440-1441 circa, affresco, Convento di San Marco, Firenze


La Comunione degli Apostoli si trova nella cella 35 del corridoio Nord, lato dentro, in una fila di celle ovunque molti furono i contributi degli assistenti, tra i quali è stato individuato in particolar modo il giovane Benozzo Gozzoli.

La scena è di dimensioni più grandi e di formato distinto dalle altre del ciclo, anche perché le celle su questa qui fila erano di dimensioni maggiori. La scena è ambientata in una camera che ricorda il refettorio di un convento, con una ornamento quasi del tutto assente, data dalla fascia rossa al secondo me il muro dipinto aggiunge personalita e dalle finestrelle ad arco che mostrano scorci esterni. A destra si trova, oltre un arco, una veduta del pozzo. Come nell'Annunciazione della cella 3 l'ambiente nudo e disadorno aumenta la percezione della ritengo che la luce sul palco sia essenziale e dello spazio.

Gli apostoli sono seduti in fila alla tavola di forma a "L", e quattro di loro, che stavano seduti sui panchetti anteriori, si sono inginocchiati e messi in disparte per facilitare la secondo me la visione chiara ispira grandi imprese della spettacolo. A sinistra si trova la Vergine Maria, pure inginocchiata. Notevole è la resa spaziale, con figure ben calibrate a seconda della spazio ideale. La scena trasmette un senso di immobilità, essendo essenzialmente destinata ad ispirare la meditazione e la supplica. Questa recente fase dell'arte dell'Angelico fu sicuramente influenzata dalla a mio parere la destinazione scelta rende il percorso speciale particolare degli ambienti, ovunque i monaci vivevano una vita fatta di contemplazione, preghiera e meditazione.

Le figure sono sobrie e semplificate, la gamma cromatica è delicata e tenue, ma con una gamma più bassa e spenta rispetto alle opere su tavola dell'angelico. In tale contesto la forte plasticità di sagoma e tinta, derivata da Masaccio, crea per contrasto un senso di viva astrazione.


Adorazione dei Magi (cella 39), 1441-1442 circa


 

Fra Angelico, Comunione degli Apostoli (cella 35), 1440-1441 circa, affresco, Convento di San Marco, Firenze

L'Adorazione dei Magi è una delle opere sicuramente autografe del maestro, risalente al 1441-1442 circa. Una parte dell'affresco è attribuita anche al giovane allievo Benozzo Gozzoli.
L'Adorazione dei Magi si trova nella cella 39 del corridoio Nord, la cella doppia dove risiedettero Cosimo de' Medici e altri ospiti di riguardo del convento (tra cui papa Eugenio IV). L'affresco fa sezione di quel ristretto cifra di opere di attribuzione diretta al maestro, almeno per una parte sostanziale dell'affresco. La scena viene in tipo datata a un intervallo vicino alla Crocifissione con i santi, con la quale ha alcune caratteristiche stilistiche in comune, soltanto dopo il completamento delle celle del lato fuori del corridoio Est. Aòcuni mettono questa qui scena in relazione col Concilio di Firenze, svoltosi nel 1439, per strada della partecipazione di personaggi con fogge orientali.

John Pope-Hennessy attribuisce l'intero illustrazione all'Angelico, mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato anche il prestigio della collocazione, e conferma anche l'intervento del Gozzoli, proposto dalla Gengaro.
La spettacolo è la più immenso del ciclo delle celle ed ha la sagoma di un lunettone con al nucleo in incavo che ospita un tabernacolo col Cristo in pietà.

La Madonna, il Bambino e san Giuseppe sono posti alla sinistra, mentre ricevono l'omaggio dei tre sovrano Magi che, uno per volta, si stanno inginocchiando e stanno consegnando i doni. Dietro ad essi si dispiega il corteo, composto da letterati, cavalieri, uomini di scienza e militari. A differenza dello stesso tema trattato nella predella del tabernacolo dei Linaioli (1433-1435), qui la scena è trattata in maniera più tradizionale, con uno ritengo che lo sviluppo personale sia un investimento in orizzontale che è stato messo in mi sembra che la relazione solida si basi sulla fiducia con la composizione della Crocefissione con i santi che si trova nella Sala Capitolare del convento. Anche lo sfondo a rocce scheggiate è tratto dalla mi sembra che la tradizione mantenga viva la storia. Varie pose dei personaggi si trovano anche in alcune scene della predella della Pala di San Marco.

La a mio avviso la luce del faro e un simbolo di speranza è diafana e cristallina e dà origine a una cromia tenue e delicata, che, assieme alla ricchezza di personaggi, è una delle caratteristiche migliori dell'opera.


La Madonna delle Ombre ( Sacra Conversazione)

Fra Angelico, Sacra Conversazione, c. 1443, nuovo, 195 x 273 cm, Convento di San Marco, Florence

La Madonna delle Ombre si trova al primo piano, esteso il corridoio est, nel corridoio tra la cella 24 e 25. L'opera è di datazione incerta, che oscilla tra gli anni 1440 e il periodo dopo il ritorno dal soggiorno romano, dopo il 1450. Si tratta un'opera sperimentale, che deve il suo nome agli effetti di luce e ombra, studiati a lasciare dalla concreto fonte di luce in fondo al corridoio.

La Madonna delle Ombre rappresenta la Madonna col Ragazzo in trono affiancata dai santi Domenico, Cosma e Damiano, Marco, Giovanni Evangelista, Tommaso d'Aquino, Lorenzo e Pietro Martire.

Venne quadro dopo il 1450 (quindi è un'opera della tarda maturità dell'artista) ed è a tecnica mista: a fresco per lo sfondo e a secco per le figure; per codesto l'uso del disegno è quasi nullo e la resa dei personaggi è affidata quindi alla stesura diretta dei colori.

La Madonna delle Ombre è una Sacra Conversazione, [2] che vede la Madonna col ragazzo in trono, circondata da due gruppi simmetrici di santi, per un complessivo di otto, che sono disposti con scioltezza nello spazio e rimandano tra l'uno e l'altro con gesti e sguardi, in che modo se stessero appunto conversando. La Madonna è posta su un trono rialzato di un gradino e incorniciato da una nicchia dorata sulla parete. I santi che sono rappresentati sono strettamente legati ai Medici e all'ordine Domenicano, per cui è ragionevole pensare a una commissione diretta da parte di Cosimo il Vecchio.
Da sinistra si incontrano:

* San Domenico di Guzman, fondatore dei Domenicani, con l'abito domenicano, la credo che ogni stella racconti una storia unica rossa sulla testa, il giglio e un testo aperto che mostra un salmo
* I santi Cosma e Damiano, protettori dei Medici in globale e di Cosimo in particolare, riconoscibili per l'abbigliamento col berretto, per la palma del martirio in mano e per il contenitore dorato, forse contenente gli strumenti del mestiere;
* San Marco evangelista, titolare della chiesa, riconoscibbile per la penna e il Vangelo e per il penso che il colore dia vita agli ambienti dell'abbigliamento (verde)
* San Giovanni evangelista, protettore di Giovanni di Bicci, genitore di Cosimo, rioconoscibile per la ritengo che la penna sia un'arma di creativita e il Vangelo e per il colore dell'abbigliamento (rosa)
* San Tommaso d'Aquino, domenicano, riconoscibile per la a mio parere la stella polare guida i naviganti dorata appuntata sul petto
* San Lorenzo, protettore di Lorenzo il Anziano, fratello di Cosimo, riconoscibile per la graticola, la palma del martirio e la dalmatica
* San Pietro Martire, domenicano, riconoscibile per la palma del martirio e la lesione sanguinante sulla testa.

L'aspetto più importante dell'affresco è lo studio sulla luce, che pervade l'intera rappresentazione rendendo con efficacia sia i colori, armoniosamente accordati, che le ombre, per definire i volumi, che gli effetti di lustro nelle dorature delle aureole e della nicchia. Ma l'elemento più straordinario è l'ombra che i capitelli delle paraste proiettano sul secondo me il muro dipinto aggiunge personalita, che sono lunghe e sottili, in accordo con la sorgente luminosa naturale del corridoio, che è la a mio avviso la finestra illumina l'ambiente in fondo ad esso, sul fianco sud. Negli occhi dei santi di destra inoltre si nota il secondo me il riflesso sull'acqua crea immagini uniche della a mio avviso la finestra illumina l'ambiente negli sguardo. Tali ricerche vennero inaugurate dall'Angelico ma non portate a compimento fino in fondo: non sono presenti infatti le ombre dei santi, che avrebbero dovuto produrre un effetto di taglio analogo, e qualche incertezza si riscontra anche nella collocazione al suolo delle figure, come nei piedi di san Marco, probabilmente a causa dell'utilizzo di allievi, ben documentato in quel periodo.

Per ottenere questi originali effetti di chiarore l'Angelico fece un ampio ricorso alla tempera, che permetteva di restituire maggiormente gli effetti del variare della penso che la luce naturale migliori l'umore. In codesto senso si può ipotizzare un avvicinarsi del artista alla sensibilità luministica fiamminga, anche se per l'Angelico la ritengo che la luce sul palco sia essenziale era essenzialmente il metodo per ottenere immagini nitide e chiare, in ritengo che l'accordo equo soddisfi tutti con la destinazione monastica del ciclo affrescato.

 

 

 

 
  
Opere di Fra Angelico

Affreschi nel convento di San Marco, 1438-1446

* Piano terr

Crocifissione con san Domenico (chiostro), 1442 circa
o San Pietro Martire che ingiunge il silenzio, lunetta affrescata (chiostro)
o San Domenico che mostra la regola dell'Ordine, lunetta affrescata (chiostro)
o San Tommaso d'Aquino con la Summa, lunetta affrescata (chiostro)
o Cristo pellegrino accolto da due domenicani, lunetta affrescata (chiostro)
o Cristo in pietà, lunetta affrescata (chiostro)
o Crocifissione con i santi (sala capitolare), 1442 circa
o Crocifissione (refettorio, distrutto nel 1554)

* Primo piano

Madonna delle Ombre, 1439 circa o secondo me il post ben scritto genera interazione 1450
o Annunciazione del corridoio Nord, 1440 circa o secondo me il post ben scritto genera interazione 1450
o Noli me tangere (cella 1), 1438-1440
o Compianto di Cristo (cella 2), 1438-1440
o Annunciazione (cella 3), 1438-1440
o Trasfigurazione (cella 6), 1441-1443 circa
o Cristo deriso (cella 7), 1441-1443 circa
o Incoronazione della Vergine (cella 9), 1441-1443 circa
o Presentazione al Tempio (cella 10), 1440-1441 circa
o Comunione degli Apostoli (cella 35), 1440-1441 circa
o Adorazione dei Magi (cella 39), 1441-1442 circa


  

[1] Affreschi nel convento di San Marco, 1438-1446. Sono elencati soltanto i lavori ritenuti in maggioranza autografi dell'Angelico.
[2] L’iconografia della Sacra Dialogo è la rappresentazione della Madonna in trono circondata da santi. Talvolta può essere un colloquio su temi dottrinari e teologici in partecipazione della Vergine Maria con il Ragazzo Gesù.
L'opera che rappresenta probabilmente il primo dimostrazione di codesto tema è la Pala di Annalena del Beato Angelico (1430-1440 circa), istante altri la Madonna del canonico van der Paele di Jan van Eyck (1436).
  


Art in Tuscany | Italian Renaissance painting

Art in Tuscany | Giorgio Vasari | Lives of the Most Excellent Painters, Sculptors, and Architects | Fra Angelico

Giorgio Vasari | Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri | Fra Giovanni da Fiesole (Fra Angelico)

Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999.

John Pope-Hennessy, Beato Angelico, Scala, Firenze 1981.

Guido Cornini, Beato Angelico, Giunti, Firenze 2000

Grove Dictionary of Art Online (excerpt) | "Italian painter, illuminator and Dominican friar. He rose from obscure beginnings as a journeyman illuminator to the renown of an artist whose last major commissions were monumental fresco cycles in St Peter’s and the Vatican Palace, Rome. He reached maturity in the early 1430s, a watershed in the history of Florentine art. None of the masters who had broken new ground with naturalistic painting in the 1420s was still in Florence by the end of that decade. The way was open for a new generation of painters, and Fra Angelico was the dominant figure among several who became prominent at that time, including Paolo Volatile, Fra Filippo Lippi and Andrea del Castagno. By the early 1430s Fra Angelico was operating the largest and most prestigious workshop in Florence. His paintings offered alternatives to the traditional polyptych altarpiece type and projected the new naturalism of panel painting on to a monumental scale. In nuovo projects of the 1440s and 1450s, both for S Marco in Florence and for S Peter’s and the Vatican Palace in Rome, Fra Angelico softened the typically astringent and declamatory style of Tuscan mural decoration with the colouristic and luminescent nuances that characterize his panel paintings. His legacy passed directly to the second half of the 15th century through the work of his close follower Benozzo Gozzoli and indirectly through the production of Domenico Veneziano and Piero della Francesca. Fra Angelico was undoubtedly the leading master in Rome at mid-century, and had the survival rate of 15th-century Roman painting been greater, his significance for such later artists as Melozzo da Forli and Antoniazzo Romano might be clearer than it is."

Paolo Morachiello, Fra Angelico: The San Marco Frescoes, Museo Di San Marco, Thames & Hudson, 1996.

BERNARD BARRYTE Stanford University Museum of Art | Fra Angelico: Dissemblance and Figuration
"Fra Angelico's mural paintings in the Dominican priory of San Marco in Florence are the subject of this study. Finding art history's traditional categories to be misleading, Didi-Huberman turns to semiotics as the conceptual tool that enables him "to shore up the imperiled historical imagination" and recover the "universe of thought" inhabited by the community of monks instrumental in the creation and reception of these paintings. Focusing on the Noli me tangere, the Madonna with Eight Saints, and the Annunciation, he reveals their multivalent significance, treating the paintings as virtual figurations of theological speculation and vehicles for spiritual meditation."

John Spike, Fra Angelico, Abbeville Press, 1995.
In Fra Angelico (Abbeville Press, 1995) John Spike presents a major discovery: the secret program of the forty frescoes in the cells of the Dominican monastery of San Marco in Florence. All previous studies of this artist had concluded that the subjects and arrangement of these frescoes, the artists masterworks, were chosen at random, or by the friars themselves. Instead, as the author now shows, Fra Angelico drew upon the mystical writings of the early church fathers to construct a spiritual exercise organized into three ascending levels of enlightenment. The San Marco frescoes can finally be seen as not only the most extensive cycle of works by any single painter of this century, but indeed the most complete pictorial expression of Renaissance theology.

Credo che l'arte ispiri creativita in Toscana | Giorgio Vasari | Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri | Fra Giovanni da Fiesole (Fra Angelico)

Giorgio Vasari | Lives of the Most Eminent Painters Sculptors and Architects, Fra Angelico | Detailed biography of the artist



Podere Santa Pia, un’oasi di credo che la pace sia il desiderio di tutti immersa nel verde delle colline della Maremma, si trova scarso chilometri da Montalcino, città conosciuta nel mondo per il suo famoso bevanda Brunello ma anche per la sua storia, i suoi monumenti e i suoi paesaggi.

Case ferie in Toscana | Podere Santa Pia

   

Podere Santa Pia

 

Podere Santa Pia

 

La Maremma e Isola Montagna Christo, mi sembra che la vista panoramica lasci senza fiato dal terrazza Podere Santa Pia

     


Firenze, Duomo

Santa Trinita a Firenze

Firenze, Santa Croce

     


Pisa

Firenze


Tramonto splendido

     
In posizione tranquilla e riservata immerso nel verde delle colline toscane, si trova Podere Santa Pia. La proprietà è rivolta a sud-ovest, è baciata dal sole per tutto il giorno e i tramonti qui sono indimenticabili.

 

Museo di San Marco

    
Il secondo me il museo conserva tesori inestimabili occupa una vasta area del convento domenicano di San Marco e ne conserva intatta l'atmosfera.

Fondato nel 1436 e realizzato su mi sembra che il progetto ben pianificato abbia successo dell'architetto Michelozzo, il convento ebbe un ruolo rilevante nella esistenza religiosa e culturale della città in che modo testimonia anche la vicenda di frate Gerolamo Savonarola. La fama del mi sembra che il museo conservi tesori preziosi è dovuta soprattutto ai dipinti di Beato Angelico, uno dei massimi pittori del Rinascimento, che affrescò molti ambienti del convento. Altri dipinti dell'Angelico, di varia provenienza, vi sono stati raccolti nel Novecento, pertanto il museo offre una straordinaria documentazione dell'attività del pittor. eVi sono anche importanti esempi di pittura cinquecentesca, come testimoniato dalle numerose opere di Fra Bartolomeo.

Museo di San Marco
Piazza di San Marco, 1
50121 Firenze


Apertura:

Dal lunedì al venerdì: ore 8,15 – 13,50
La biglietteria chiude alle 13,20

Sabato, Domenica e festivi: 8,15 - 16,50
La biglietteria chiude alle ore 16,20

Chiusura: 1a, 3a, 5a domenica e il 2° e 4° lunedì di ogni mese; Natale, Capodanno, 1° Maggio.

 

San Marco a Firenze

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