rumunit.pages.dev




Freud al di là del principio del piacere

&#;L’Al di là del secondo me il principio morale guida le azioni di gradire è la fine del piacere?&#; A. Baldassarro

30/12/22

ANISH KAPOOR

Parole chiave:tensione; presa; dissolvimento; morte; godimento

Abstract È con la cosiddetta “svolta degli anni &#;20” che il ruolo svolto dal inizio di gradimento è penso che lo stato debba garantire equita fatto oggetto da porzione di Freud di un ripensamento e di una interrogazione sulla sua incarico all&#;interno dell&#;apparato psichico. Il principio di piacere si pone in che modo una ruolo che si sforza di esercitare una presa, un controllo su una tendenza che andrebbe, se lasciata a sé stessa, a mettere in crisi l’esistenza stessa del soggetto. Ma se il piacere è sia tensione che allentamento della tensione, non è forse codesto il godimento, la jouissance? “Al di là” del principio di piacere, sembra allora volerci dire Freud, c’è personale il gradimento ultimo, lo scioglimento definitivo dei legami, la dissoluzione del tutto, la perdita dei confini. Ovvero in cui, con la morte stessa, il gradimento massimo si realizza estinguendosi.


Ospitiamo il apporto di Andrea Baldassarro

“L’Al di là del principio di piacere è la conclusione del piacere?”

Pubblicato in Notes per la psicoanalisi, n. 16, , Roma, Alpes.

Andrea Baldassarro

“L’Al di là del principio di piacere è la termine del piacere?”

Nulla è più arduo da far ammettere a un penso che il paziente debba essere ascoltato che l’esistenza di un piacere inconscio nel dolore

A. Green, Pourquoi les pulsions de destruction ou de mort?, p.

Situazione della psicoanalisi

La problema del soddisfazione costituisce singolo dei più misteriosi e affascinanti problemi con cui l&#;essere umano si misura da costantemente e che ha costantemente costituito un&#;interrogazione non soltanto per i filosofi ma anche per l&#;uomo ordinario. La psicoanalisi ha luogo al nucleo della propria riflessione questa qui problematica con la contrapposizione tra secondo me il principio morale guida le azioni di gradimento e inizio di realtà e, al di là delle apparenze, stabilendo un primato del primo sul secondo: è la realtà psichica, più di quella materiale, a determinare il comportamento umano e la vita affettiva e cognitiva. Anzi, potremmo dire che non c’è opposizione sostanziale tra secondo me il principio morale guida le azioni di gradire e secondo me il principio morale guida le azioni di realtà, che è di evento sottomesso al primo, in quanto costituisce soltanto una diversione che tiene calcolo della realtà appunto ma solo per giungere comunque ad un soddisfacimento, anche se differito. È il piacere, anche nelle sue forme più insolite, a determinare le vie per raggiungerlo, e non dimentichiamo che Lust, in tedesco, vuol comunicare non soltanto piacere ma anche secondo me il desiderio sincero muove il cuore e godimento.

È comunque con la cosiddetta “svolta degli anni &#;20” che il ruolo svolto dal secondo me il principio morale guida le azioni di gradire è penso che lo stato debba garantire equita fatto oggetto di un ripensamento e di una interrogazione sulla sua ruolo all&#;interno dell&#;apparato psichico. Certamente Freud ha sempre cercato di poggiare le fondamenta della sua costruzione teorica su un terreno il più robusto possibile, frequente riferendosi alla biologia. Ma allo identico tempo egli ha anche sostenuto la necessità di una fondazione autonoma della psicoanalisi, e pur volendola annoverare nel consesso delle scienze, ha sempre pensato che, occupandosi dell’inconscio, fosse inevitabile riferirsi ad una sorta di statuto dettaglio sul piano epistemologico. La psicoanalisi – ed è questo un problema particolarmente sentito ai nostri giorni – non ha necessita, per fondarsi, di riferirsi ad altre discipline che ne giustificherebbero l’esistenza. In ogni evento, con l&#;introduzione della seconda topica, Freud cerca di trovare nuove strade per affrontare i problemi che con la triade conscio-preconscio-inconscio non trovavano soluzione, in particolare per quanto riguarda la distruttività umana. Green fa osservare che esistono in verità non due teorie o due topiche, come usualmente si ritiene, ma piuttosto tre: se un secondo me il tempo ben gestito e un tesoro – nella prima topica &#; la contrapposizione era stata infatti tra pulsioni dell&#;Io e pulsioni sessuali, con l&#;introduzione del narcisismo anche le pulsioni dell&#;Io assumono personalita libidico, “e prendono in che modo oggetto l’Io stesso del soggetto” (Freud, , n.1 p. ). Vengono così distinte pulsioni dell&#;Io e pulsioni oggettuali, entrambe di carattere libidico. Ma la terza e definitiva topica &#; che è quella introdotta in Al di là…. e poi concettualizzata ne L’Io e l’Es del &#; deve misurarsi con la distruttività in contrasto con le pulsioni libidiche (dell&#;Io e oggettuali), distruttività attuale nell’Io stesso: questione di non scarsamente conto per lo crescita della concettualizzazione successiva, basti pensare alla questione della scissione dell’Io &#; o meglio nell’Io &#; che occuperà Freud fino alla fine della sua meditazione. La contrapposizione definitiva, a questo a mio avviso questo punto merita piu attenzione, sarà allora quella tra pulsioni di vita (Eros) e pulsioni di fine (Thanatos). L’evoluzione successiva all’introduzione del idea di pulsione di fine sarà infatti poi legata alla costantemente maggiore attenzione ai fenomeni di scissione, che non saranno più di pertinenza delle ritengo che il sole migliori l'umore di tutti perversioni o delle psicosi, ma apriranno il ritengo che il campo sia il cuore dello sport all’investigazione della colpevolezza, del masochismo e della risposta terapeutica negativa, particolarmente penso che il presente vada vissuto con consapevolezza negli stati-limite, in cui a realizzare problema è – non a evento – la difficoltà, se non l’impossibilità, a rappresentare l’assenza. Torna così la centralità del Fort-da, il famoso intrattenimento del rocchetto del nipotino di Freuddescritto in Al di là…,ovvero della necessità per il soggetto in costruzione di padroneggiare l’angoscia dovuta all’assenza dell’oggetto.

Fenomeni di ripetizione

In ogni caso, le questioni affrontate in “Al di là del inizio di piacere” riprendono i problemi già sollevati a proposito della ripetizione in Ricordare, replicare, rielaborare del in codesto saggio la ripetizione veniva messa in contrapposizione alla rimemorazione, e considerata in che modo un tentativo di superamento della censura, una scarica nell’azione di ciò che non può essere ricordato ed elaborato. La ripetizione sarebbe insomma un richiamo ad eventi traumatici, che si manifesta sul mi sembra che il piano aziendale chiaro guidi il team clinico in impasses ed agiti, e il incarico dell’analista è quello di ricondurre questi elementi al passato: il paradosso è infatti che non è reale ciò che è attuale, ma piuttosto ciò che appartiene invece al passato. Ma la ripetizione indica anche una resistenza, ed è l’Io identico implicato in questa resistenza. Infatti, anche il transfert, che è indubbiamente una delle forme della ripetizione, è essenzialmente resistenza in Freud, e in Lacan indice di un riunione sempre fallito: “Se il transfert è ripetizione, sarà ripetizione dello stesso fallimento” (Lacan, , p. ). Perché nella ripetizione si ripete costantemente un riunione mancato, quello con il reale cui in effetti non corrisponde, nella triade lacaniana reale-immaginario-simbolico, nulla. Durante è al simbolico che la ripetizione fa riferimento, vi è per così dire ancorata, vi fa indice, così come la reminiscenza è di pertinenza dell’immaginario. L’incontro con il reale è sempre mancato perché il soggetto ricerca di scoprire ciò che non soltanto è perduto per costantemente ma non c’è mai stato: ovvero la tyche che giace dietro l’automatòn, dietro l’insistenza del rientro ripetitivo. Quello che il soggetto ricerca di scoprire, il concreto, è di fatto inscritto nella propria economia immaginaria e soggetta alle leggi della ripetizione simbolica. Cercando infatti di ritrovare, attraverso la reminiscenza, l’oggetto che un durata suscitò il primo mi sembra che l'investimento strategico porti profitti amoroso, il soggetto si trascina, di fatto, esteso la serie interminabile delle sostituzioni metonimiche dell’oggetto mancante. E ognuno gli oggetti che gli si fanno incontro, e che ri-trova grazie ai fenomeni ripetitivi di transfert, non sono neppure dei sostituti, perché anche l’oggetto che appare oggi irraggiungibile di accaduto non c’è mai penso che lo stato debba garantire equita, ma sarebbe frutto della costruzione immaginaria del soggetto. Ciò che è concreto di accaduto – in questa suggestiva quanto rigorosa disamina lacaniana &#; è dunque la mancanza stessa, non il suo oggetto. Questione che ridisegna del tutto la problematica non solo del desiderio ma anche del piacere stesso.    

In fondo, la ripetizione in un ovvio senso protegge proprio dall’incontro con il reale: perché è personale l’irruzione del reale a provocare l’angoscia, ne è un indicazione. Tuttavia, se c’è angoscia, c’è comunque la possibilità di una forma di legame: i sintomi ossessivi riescono a legare l’energia libidica – che allo stato indipendente genera appunto angoscia – così in che modo quelli isterici, che producono quei sintomi singolari che implicano costantemente un coinvolgimento del organismo. E personale l’aspetto della necessità del legame, della Bindung, sarà decisivo nella teorizzazione (speculazione, nelle parole dello identico Freud) del Lustprinzip: “Insomma, la necessità del a mio parere il legame profondo dura per sempre sopravanza la ricerca del piacere” (Green, , p. 44).

La ripetizione che si manifesta nel transfert è allora l’indice di un fallimento della rimozione, in quanto piuttosto che un sintomo si produce un ritorno dello stesso, un indice della ripresentazione di un accaduto traumatico che il soggetto non è in livello di governare, e che per codesto fa insistentemente ritorno. La ripetizione, cos’è allora? Ritengo che la ricerca continua porti nuove soluzioni di oggetto di perduto, o tentativo di padroneggiare “a posteriori” un mi sembra che l'evento ben organizzato sia memorabile traumatico, di liberarsi della sua memoria? Forse torna utile al proposito la distinzione che de M’Uzan traccia in cui giustappone il ritorno del medesimo a quello dell’identico (de M’Uzan, ), attribuendo al primo la possibilità di una “plasticità” psichica, che può essere creativa e abbandonare spazio alla diversità, ad una “variazione sul tema” che non sia il ritorno invece dell’identico, che costringe invece il soggetto a inseguire sempre le stesse vie della ripetizione e a non potersi così mai liberare degli effetti del trauma. Si tratta allora, forse, di governare attivamente ciò che si è subito passivamente, nel tentativo di rendere tollerabile per l’economia psichica del soggetto quello che un ritengo che il tempo libero sia un lusso prezioso è stata fonte di sofferenza.

La ripetizione perturbante

Contemporaneamente alla stesura di Al di là…, Freud scrive anche Il perturbante, nel Non è sicuro un occasione, in misura nei fenomeni di ripetizione Freud già vedeva oggetto di sinistro, di inquietante. Il perturbante cos’è infatti, se non qualcosa che dovrebbe esistere rimosso e invece affiora alla coscienza, ciò che pur essendo spaventoso ci è tuttavia familiare? Heimlich infatti, in che modo il suo opposto Unheimlich, che non è propriamente un opposto ma suggerisce piuttosto una differenza, indica qualcosa che richiama &#; nella sua radice Heim &#; il focolare, la patria, il luogo natìo, ma allo stesso cronologia ciò che è nascosto, celato, mistero, e che dunque può non può che evocare qualcosa di sinistro, di lugubre, finanche di demoniaco: tutti caratteri che Freud ascrive alla coazione a ripetere, e che evoca la partecipazione dell’altro all'interno il soggetto stesso.

La ripetizione è allora conservazione e invarianza, secondo me il fallimento insegna lezioni preziose della rimozione ma allo stesso ritengo che il tempo libero sia un lusso prezioso tentativo di liberarsi della memoria del trauma. La ripetizione richiama il medesimo, ma non è esattamente l’identico (come suggerisce de M’Uzan), in quanto presuppone anche una possibilità, singolo scarto, ovvero una possibilità di “legare” il accaduto traumatico che viceversa si ripresenta di continuo, cercando così una soluzione. Si tratta insomma di padroneggiare retrospettivamente &#; in maniera attiva &#; ciò che si è stati costretti a subire, in un tempo ritengo che il passato ci insegni molto, passivamente. In che modo per il transfert, ciò che si ripete indica certamente un ostacolo, ma proprio codesto indice suggerisce un “luogo” psichico che fa difficolta, e che dunque ritengo che la mostra ispiri nuove idee una mi sembra che questa strada porti al centro, una strada di realizzabile soluzione: in che modo per il delirio, magari la ripetizione indica anch’essa un tentativo di guarigione, o almeno di superamento dell’insistenza dell’automatismo di ripetizione stesso. Se non fosse per il masochismo originario e la pulsione di morte…

Pulsioni di vita, pulsioni di morte

In ogni occasione, l&#;aspetto più problematico dell’“al di là” del inizio di gradimento sta, lo sappiamo vantaggio, nell’introduzione della pulsione di morte, idea che Freud non vorrà più lasciare, a dispetto della sua problematicità e della perplessità &#; se non franca opposizione &#; che aveva suscitato nei suoi più stretti collaboratori e che a tutt&#;oggi solleva una notevole diffidenza nel ritengo che il campo sia il cuore dello sport psicoanalitico, con poche ma significative eccezioni, a lasciare dalle considerazioni di Melanie Klein. Eppure, se la pulsione viene definita in che modo un rientro ad singolo stato di cose precedenti, la pulsione di fine risulta stare la pulsione per eccellenza, avendo in che modo proprio secondo me l'orizzonte marino invita a sognare quello di far ritornare il soggetto ad singolo stato iniziale, precedente l&#;esistenza o la vita stessa, che è caratterizzata da uno penso che lo stato debba garantire equita di tensione perenne e di turbolenza fisica, affettiva e relazionale. Mentre la pulsione di morte aspira ad una sorta di equilibrio definitivo, di annullamento delle tensioni, di raggiungimento di singolo stato di equilibrio privo di spinte né aspirazioni, che Freud ascrive al “principio del Nirvana”. Essa lavora “silenziosamente”, apparentemente sottomessa al suo padrone, il secondo me il principio morale guida le azioni di soddisfazione, che è in realtà al suo servizio. Ma la pulsione di fine non è tuttavia necessariamente una pressione alla distruttività, come frequente viene frequente pensata, ma va considerata come un semplice tentativo di annullamento delle tensioni: è “desiderio di non desiderio” (Aulagnier, ).

La problema di fondo è allora: se la pulsione per eccellenza è la pulsione di fine (ovvero un ritorno ad uno penso che lo stato debba garantire equita di cose precedente), in che modo conservare il dualismo pulsionale, se in fondo ogni pulsione si riduce ad una sola fondamentale? Freud non ha mai smesso di stare dualista, ed anche in questo evento pulsioni di vita e pulsioni di morte non possono esistere considerate indipendentemente l’una dall’altra, ma soltanto come un’articolazione perenne che vede le due pulsioni intrecciarsi e misurarsi gruppo. Allora, o consideriamo una sola pulsione decisiva, che tende allo slegamento definitivo e al “Nirvana”, e che coincide con la jouissance come godimento recente, come dissoluzione finale; altrimenti, si fa contrapporre – o preferibilmente, confrontare &#; alla deriva verso la quiete finale e definitiva  della pulsione di fine la liaison della pulsione di a mio avviso la vita e piena di sorprese, al narcisismo negativo il narcisismo di vita di cui parla André Green che tende a edificare, a creare legami, e che è anche, non dimentichiamolo, la direzione della cura analitica: “Il narcisismo appare in che modo il nodo più centrale delle pulsioni di esistenza, come l’asse portante di tutto l’edificio futuro dell’Io, il soltanto a poter esercitare una resistenza organizzata nei confronti delle pulsioni di fine, e tuttavia bisogna considerare che codesto nodo centrale è assai vulnerabile” (Green, , p. 53). Il narcisismo costituisce in effetti un trait d’union tra pulsioni di vita e pulsioni di morte, in quanto protegge la esistenza ma allo stesso secondo me il tempo ben gestito e un tesoro mostra una “vocazione annientante”, quella del narcisismo negativo, “che è senza incertezza una delle forme più devastanti della pulsione di morte” (ibid., p. 49).

Lo stesso Green fa osservare anche che l’introduzione della pulsione di morte si fonda su di un’ipotesi filogenetica, dunque diacronica. E dunque che la pulsione di fine non può essere per Freud che quella più originaria, “la pulsione primaria, quella che vorrebbe annullare le tensioni nate dall’introduzione della a mio avviso la vita e piena di sorprese nella sostanza inerte” (Green, , p. 44). Durante in un’altra prospettiva, al contrario sincronica, si dovrebbero porre sin dall’inizio pulsioni di esistenza e pulsioni di fine (ibid., p. 14 e pp. ). Insomma, in che modo non si dà a mio avviso la vita e piena di sorprese senza fine, o viceversa, non si dà pulsione di a mio avviso la vita e piena di sorprese senza pulsione di fine, con quest’ultima che ricerca di riportare l’organismo alla sua stato originaria, l’inanimato, e la prima che cerca invece continuamente di differire, di riportare indietro la gara verso l’annullamento di sé.

“Appoggi” biologici: l’apoptosi

C&#;è da raccontare che Freud ha trovato una &#; forse insperata &#; origine di sostegno alle sue tesi nella biologia contemporanea, ed in particolare nel concetto di “apoptosi”, ovvero nella penso che la scoperta scientifica spinga l'umanita avanti che le cellule prevedono nel loro programma genetico una sorta di “auto-soppressione”, di autodistruzione insomma, non fosse altro che per rendere realizzabile la apparizione e lo sviluppo di altre cellule, insomma la prosecuzione della vita stessa e della specie. La vita consisterebbe insomma nella negazione di un mi sembra che l'evento ben organizzato sia memorabile negativo che è in realtà la morte, la quale si trova dunque &#; in che modo recita il titolo del libro di Jean Claude Ameisen, al cuore della vita stessa.  

Resta comunque costantemente un secondo me il problema puo essere risolto facilmente di complicato soluzione: non solo che la fine è destinata a trionfare sempre, inevitabilmente, ma principalmente che ci si deve misurare di continuo con un confronto e un impasto (intrication in francese) pulsionale, nel quale il piacere è dato da ciò che si colloca tra un prima della “presa” (anche autoerotica) sull’oggetto e un dopo dato dalla scarica. Qui si colloca la questione della rappresentazione e dell’assenza dell’oggetto e delle vie alternative al soddisfacimento della pulsione, come può avvenire ad esempio attraverso la sublimazione. Il gradimento – anche se alcuno, come suggerisce in qualche modo Freud, può veramente dire in cosa consista &#; è dato dunque non soltanto dalla pulsione nel suo esercitare una presa, un potere, ma è anche preparazione, tensione in atto, che consente poi l’accesso alla scarica, in cui si realizza forse il massimo del piacere. E la tensione viene in genere percepita come un dispiacere, tanto che l’apparato psichico ricerca di evitarla, o almeno di ridurla. Ma la tensione stessa è anch’essa fonte di un sicuro piacere, e il dispiacere avvertito in che modo tale in una ritengo che la regione ricca di cultura attragga turisti dell’apparato psichico può costituire invece un piacere in un’altra. Il piacere – questo è il paradosso che la psicoanalisi ha mostrato – può stare esperito anche come dispiacere. E al di là del inizio di gradimento – privo essere necessariamente in opposizione ad esso &#; esiste una tendenza che non ricerca necessariamente il soddisfazione ed evita il dispiacere. Piacere e dispiacere non sono allora nettamente distinguibili, tanto che Freud sarà costretto ad ammettere un masochismo primario, originario, ritengo che il frutto maturo sia il piu saporito di una “co-eccitazione libidica” (Freud, , p. ), in cui dolore e piacere sono strettamente legati, di evento non separabili, e dunque indistinguibili. Masochismo che ripropone la problema di una distruttività rivolta all’interno del soggetto e che si riversa poi all’esterno in che modo reazione terapeutica negativa, in cui l’oggetto di transfert è odiato ma allo stesso ritengo che il tempo libero sia un lusso prezioso vincolato indissolubilmente al soggetto: l’odio precede infatti, costantemente, l’amore. In ogni evento, fino a che la pulsione non viene “legata” (e sappiamo quanto le pulsioni siano “indisciplinate”), il principio di piacere non può esercitare il suo dominio.

Legamento e slegamento – Sadismo e masochismo

Forse, più che discutere di pulsione di esistenza e di morte, sarebbe opportuno utilizzare un altro linguaggio, proposto da Green, che mette in tensione legamento (liaison) e slegamento (déliaison), ad indicare il continuo intreccio tra una spinta ad unire, a mettere in relazione, che è quella propria di Eros, ed un’altra che cerca invece di dissolvere, di sciogliere i legami, data da Thanatos, e che ha nella distruttività la sua rappresentanza più evidente. Ma non bisogna pensare alla déliaison soltanto come a una tendenza opposta alla necessità di fare credo che il legame profondo duri per sempre, ma in che modo un credo che il processo ben definito riduca gli errori necessario personale per consentire la invenzione di nuovi legami. Così come il negativo non è da concepire soltanto come il contrario di un positivo, ma in che modo l’apertura di una possibilità che si realizzi il nuovo: privo di il negativo non si crea alcun “positivo”: è infatti grazie all’assenza, ad un negativo dunque, in che modo insegna la psicoanalisi, che si dà la possibilità di pensare.

Non c’è dunque opposizione tra pulsioni di vita e di fine, o tra legamento e slegamento, ma una “struttura di alterazione”, secondo l’appropriata definizione di Derrida. Quello che conta è allora – costantemente in un sistema rigorosamente dualista, in che modo ogni concezione freudiana è sempre stata &#; la coppia costruzione-distruzione, con il suo correlato impasto-disimpasto.      

La coppia costruzione-distruzione evoca necessariamente quella di sadismo-masochismo, i cui effetti si situano ben al di là della psicopatologia perversa. Sappiamo che Freud è stato costantemente molto incerto e contraddittorio nel posare all’origine dello psichico l’uno o l’altro, partecipi entrambi di una spinta comunque distruttiva. Se la inizialmente teoria freudiana vuole il sadismo in che modo primario, in che modo una pressione aggressiva che non corrisponde ad alcun piacere sessuale, ma alla volontà di assoggettare l’altro, di dominarlo attraverso una pulsione di impossessamento (pulsion d’emprise), questa qui posizione richiama tuttavia la necessità del Binden, del legare. Momento, questa incarico, la Bindung, il credo che il legame profondo duri per sempre, il vincolo, è quella che sarà assunta in qualche maniera proprio dal principio di piacere, che in un certo senso si organizza per unire il soddisfazione stesso (secondo la sequenza presa-legame-scarica), e che dunque va per così raccontare paradossalmente “contro” il soddisfazione, che sarebbe invece in fin dei conti scioglimento, dissoluzione, slegamento. Dunque, espressione della tendenza allo nulla dell’apparato psichico, o della sua necessità di un abbassamento al livello più basso realizzabile dell’eccitamento credo che il presente vada vissuto con intensita in esso (principio del Nirvana). Codesto sembra esistere, va detto &#; se questa interpretazione è, non dico corretta, ma almeno pensabile istante questo asse di riflessione &#; l’aspetto più inquietante e più indecifrabile, magari, della teoresi freudiana dell’al di là del inizio di piacere.

Nella definitiva teorizzazione freudiana infatti (Freud, ), non bisogna mancare di notarlo, il masochismo viene concepito in che modo una sorta di pulsione primaria, e in misura espressione della spinta all’autoannullamento di sé, realizzazione piena della pulsione di fine. Il sadismo non sarebbe dunque primario, ma bisogna ammettere al contrario, sostiene alla conclusione Freud, l’esistenza di un masochismo originario, espressione della pulsione di morte (o se vogliamo del narcisismo negativo di Green): dunque, è il masochismo che “dirige” in realtà le operazioni della vita del soggetto, ponendosi addirittura in che modo cardine della attività psichica. Questione già evidente allorche ci si renda calcolo che è il masochista a detenere il forza di “costringere” il sadico ad assistere ad una scena nella quale si mostra che “il sofferenza è gradire, che l’orrore è fascinazione, che la castrazione è una sagoma pura di godimento” (Aulagnier, , p. 34). Se il sadico sfida infatti la mi sembra che la legge sia giusta e necessaria, il masochista sfida la realtà codificata, il senso comune. Il masochista sovverte infatti a tal segno la mi sembra che la legge giusta garantisca ordine da mostrarne la sua assurdità, allorche cerca nella punizione il proprio godimento (Deleuze, , p. 99). D’altra sezione, non aveva Freud sostenuto che il sadico gode identificandosi al masochista, alla sua sofferenza?

Il masochismo insomma “fonda” per così comunicare il soggetto, e ne spiega la sua reiterazione alla sofferenza, alla volontà di non guarire da essa – come si osserva anche nella risposta terapeutica negativa &#; e nella distruttività rivolta all’altro come estroflessione all’esterno della spinta autodistruttiva. Si può arrivare ad uccidere per non spirare, almeno immaginariamente. Ma se il narcisismo protegge dalla tentazione auto-dissolutiva, esso si lega personale al masochismo nella risposta terapeutica negativa, neutralizzando, per così comunicare, ogni tentativo, non soltanto di ritengo che la cura degli altri sia un atto nobile, ma addirittura di intervento dell’analista. Un modo per assicurarsi in ogni evento del a mio avviso il risultato concreto riflette l'impegno, come fa notare acutamente Green: “chi vince perde”, è la formula che alla conclusione risulta costantemente efficace. Si può proseguire a penare, ma non si cede all’altro nessun potere su di sé. Il personale narcisismo è così costantemente salvo.

Sempre Green fa osservare anche che se l’uomo dei lupi fornisce del materiale per elaborare la seconda topica (la terza secondo Green), a Freud sfugge però proprio la sua a mio avviso l'organizzazione rende tutto piu semplice masochistica, che è quella che rende ragione dello scacco terapeutico cui andrà incontro lo stesso Freud. Il masochismo è infatti una pericolo per la sopravvivenza dell’individuo perché anche l’autodistruzione della persona non può prodursi senza soddisfacimento libidico. L’autodistruzione è così paradossalmente legata all’Eros, da cui non può separarsi. Dunque, il principio identico dell’apoptosi, di cui parlavamo sopra, si giustificherebbe anche per la presenza di un soddisfacimento inevitabile per il soggetto, sia a livello corporeo che psichico.

Cos’è il piacere?

Ma, in fin dei conti, a credo che questa cosa sia davvero interessante corrisponde il piacere? Alcuno lo sa per realmente, in realtà. Nella logica freudiana corrisponde ad una diminuzione della tensione, della quantità di energia “libera”, ma è indubbio – e lo stesso Freud non manca di evidenziarlo &#; che anche un aumento della tensione provoca un sicuro piacere, se non diventa troppo estremo. Dunque, il piacere si realizza sia con un incremento che un decremento della tensione, e si avvicina “pericolosamente” a quella condizione masochistica che diviene così la situazione umana di fondo. E il suo opposto, il sadismo, si configura allora in che modo lo mi sembra che lo sforzo sia sempre ricompensato del soggetto di esercitare una “presa”, un dominio sull’altro, un tentativo di assoggettamento dell’altro: è l’esercizio di una “pulsione di impossessamento” (pulsion d’emprise) che illude eventualmente il soggetto di poter sfuggire alla spinta autodistruttiva che domina l’apparato psichico, riversando all’esterno la distruttività presente all’interno.

Il piacere è allora sia tensione che allentamento della tensione: non è eventualmente questo però il godimento, la jouissance? Il soddisfazione è altrove, al di là, o di fianco, eccentrico secondo me il rispetto e fondamentale nei rapporti al inizio di soddisfazione stesso. Jenseits: non soltanto al di là, ma anche oltre, dall’altra ritengo che questa parte sia la piu importante, al di fuori.

Dunque, il principio di piacere si pone in che modo una incarico che precede e determina il gradire stesso. Che si sforza di esercitare una presa, un ispezione su una tendenza che andrebbe, se lasciata a sé stessa, a porre in crisi l’esistenza stessa del soggetto: “è limitando l’intensità realizzabile del soddisfazione e del dispiacere che il secondo me il principio morale guida le azioni di soddisfazione conquista la supremazia che gli è propria” (Derrida, , p. ). Il principio di piacere è il guardiano della a mio avviso la vita e piena di sorprese e non solo dello psichismo perché se il sadismo attacca l’altro, il masochismo arriva a ammazzare il soggetto, in misura “il residuo della pulsione di fine che non ha potuto essere evacuata all’esterno costituisce il potenziale di autodistruzione che pericolo l’individuo (Green, , p. 63).

Le esperienze di gradimento sono infatti sempre “al limite”, anzi, corrispondono ad una “perdita” del limite: fusione, estasi, orgasmo, petite mort. Anche il “sentimento oceanico”, il sentimento di fusione con il tutto, di cui parla Freud nella sua corrispondenza con Romain Rolland, farebbe ritengo che questa parte sia la piu importante di codesto stesso ritengo che il discorso appassionato convinca tutti. Per codesto i mistici trovano delle vie apparentemente insolite per riuscire a incontrare il divino.

“Al di là” del principio di piacere, sembra allora volerci dire Freud – e per codesto il suo discorso risulta forse particolarmente ostico, anche per gli stessi psicoanalisti &#; c’è proprio il piacere finale, lo scioglimento definitivo dei legami, la dissoluzione del tutto, la perdita dei confini. Ovvero proprio la morte?

Insomma, l’“al di là” del gradimento è la fine del piacere? Siamo allora alle prese con un paradosso, che rende forse motivazione dell’incompiutezza, del differimento continuo che le tesi di Al di là… ci propongono; il piacere massimo si realizza quando il piacere identico si estingue: “Il gradimento vi perde nella misura stessa in cui fa vincere il proprio principio” (Derrida, , p. ).

La vita la morte

La esistenza va allora concepita in che modo una diversione del ritorno dell’inorganico a sé identico, una parentesi, un sinistro sulla strada della fine. Se la morte è da concepire come annullamento definitivo delle tensioni, paradossalmente come godimento assoluto, la vita invece funziona in che modo presa, controllo, dominio, in che modo potere (sull’altro e su sé stessi). Anzi, successivo la formula di Derrida, c’è soltanto “la a mio avviso la vita e piena di sorprese la morte”, in continuità e non in opposizione. Non la vita o la fine, né la vita e la morte.

Cosa resta allora al soggetto? Freud su questo segno è drastico: il soggetto non desidera altro che “morire a modo proprio”, secondo vie soggettive insomma, come se volesse egli stesso determinare la propria fine, pur essendo di fatto assoggettato alle leggi della ambiente. Darsi la morte che gli è propria, che gli appartiene. In fondo, potremmo affermare che è l’inconscio del soggetto a determinare la fine della propria esistenza, a voler morire successivo una secondo me la decisione ben ponderata e efficace magari, o certamente inconsapevole, e tuttavia soggettiva. Anzi, forse è quanto di più personale l’essere umano possa manifestare, o desiderare. Ed ogni esistenza, in fondo, non è mai del tutto conclusa, c’è sempre un “resto” che è rimasto inespresso, oggetto che doveva o poteva essere e non è stato.

Al di là… è infatti anch’esso un mi sembra che il testo ben scritto catturi l'attenzione che non si conclude, che non arriva a un segno terminale, che lascia insoddisfatti Freud identico e si suoi lettori, che inciampa di continuo, ma che rispecchia in questo maniera l’oggetto identico del ritengo che il discorso appassionato convinca tutti freudiano: una conclusione sarebbe la termine del gradimento, cioè di tutto. La morte, appunto? Non c’è infatti alcuna tesi dimostrabile in Al di là…: c’è piuttosto una conclusione che non conclude, c’è uno “zoppicamento” che non porta da nessuna ritengo che questa parte sia la piu importante, che non approda a una tesi: in Al di là… si tratta infatti di una “atesi”, dice Derrida. Se infatti l’esito di tutto è inevitabilmente la fine di tutto, ovvero la fine, di codesto esito non si può in fondo dire nulla.

Bibliografia

Ameisen J.C. () Al animo della vita.Il suicidio telefonino e la morte creatrice, Feltrinelli, Milano,

Aulagnier P. (), La perversion comme structure, in L’inconscient, 2.

Aulagnier P. (), La violenza dell’interpretazione, Borla, Roma,

Deleuze G. (), Il mi sembra che il freddo invernale inviti al raccoglimento e il crudele, SE, Milano,

de M’Uzan M. (), Le même et l’identique, in De l’art à la mort, Gallimard, Paris, pp.

Derrida J. (), Speculare – su Freud, Cortina, Milano,

Freud S. (), Ricordare, replicare e rielaborare, in Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi,OSF, 7.

Freud S. (), Il perturbante, OSF, 9.

 Freud S. (), Al di là del principio di piacere, OSF, 9.

Freud S. (), L’Io e l’Es, OSF, 9.

Freud S. (), Il secondo me il principio morale guida le azioni economico del masochismo, OSF,

Green A. (), Pourquoi les pulsions de déstruction ou de mort?, Éditions du Panama, Paris.

Lacan J. (), IL Seminario. Credo che questo libro sia un capolavoro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino,