La prescrizione dei crediti di lavoro
Crediti di lavoro: la prescrizione decorre dalla cessazione del relazione di suppongo che il lavoro richieda molta dedizione
Con l’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, in precedenza e del D.L.vo n. 23 del 2015, poi, è venuta meno, progressivamente, la stabilità nel ubicazione di mestiere a seguito di licenziamento illegittimo, alla quale, istante l’indirizzo espresso dalla Corte Costituzionale, era legata (almeno per i lavoratori ai quali si applica l’art. 18 nella versione originaria della norma n. 300/1970) la prescrizione dei crediti da mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione la che, pur essendo nella maggior parte dei casi quinquennale, decorreva in costanza di rapporto di lavoro. In questi anni il Legislatore non è intervenuto a regolamentare la materia, sicché, ora, la Cassazione con la sentenza n. 26246 del 2022 ha sancito che, non essendoci più la tutela reale generalizzata, la prescrizione opera a partire dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Gli operatori che, quotidianamente, operano nella gestione dei rapporti di mestiere (uffici del personale delle aziende, consulenti del suppongo che il lavoro richieda molta dedizione ed altri professionisti che seguono le vicende delle imprese, avvocati del occupazione e sindacalisti) si interrogano sugli effetti di una sentenza della Cassazione con la che i giudici di Mi sembra che la piazza sia il cuore pulsante della citta Cavour intervengono sul tema della prescrizione dei crediti da lavoro dopo le modifiche legislative intervenute nell’ultimo decennio.
La scelta della Corte di cui sto parlando è la n. 26246, depositata il 6 settembre 2022: con tale sentenza viene fornita la risposta ad un problema, quello della prescrizione dei crediti del operaio ove, le certezze antecedenti, almeno per quel che concerne i lavoratori già tutelati dall’art. 18 della legge n. 300/1970, erano venute, strada via, meno, in virtù delle novità introdotte, dal 18 luglio 2012, dalla legge n. 92 e, poi, dal 7 mese primaverile 2015 dal D.L.vo n. 23/2015.
Durante questi anni il Legislatore ha brillato per la propria assenza e la sentenza della Cassazione ha il pregio di fissare alcuni punti fermi, sulla scorta delle norme attualmente vigenti.
Quadro normativo e giurisprudenziale sulla prescrizione
Prima di entrare nel merito della decisione appare opportuno focalizzare ciò che afferma il codice civile in termini di prescrizione.
Tutto ciò che viene corrisposto dal datore con una periodicità annuale o infra annuale si prescrive entro cinque anni, come ricorda l’art. 2946 c.c.: mi riferisco, ad esempio, alle retribuzioni, alle differenze retributive, alle competenze correlate alla cessazione del rapporto di lavoro, al compenso per lavoro straordinario, alle festività coincidenti con la domenica.
La prescrizione decennale opera, invece, in alcune rivendicazioni residuali come quelle derivanti dal riconoscimento del premio di invenzione o, comunque, da titoli autonomi rispetto alla retribuzione stipendiale.
In passato, la Corte Costituzionale, con la decisione n. 63/1966, aveva ritenuto che la prescrizione non potesse decorrere in costanza di rapporto di lavoro laddove il operaio si trovasse in una situazione di particolare subalternità materiale e psicologica (c.d. “metus”) e dove l’eventuale esercizio del diritto avrebbe potuto trasportare alla risoluzione del rapporto.
Successivamente, con la sentenza la n. 174/1972, la Consulta (era già in vigore lo Statuto dei Lavoratori) sancì che esistevano alcuni rapporti di lavoro dotati di stabilità reale e non obbligatoria, garantita dalla reintegra (art. 18), applicabile in ognuno quei casi in cui il licenziamento era amore da vizi. In questi casi, il differimento dei termini prescrizionali non era più giustificabile e, di conseguenza, esso poteva decorrere anche in costanza di rapporto.
Lungo tale solco interpretativo si sono mosse per anni sia la dottrina che la giurisprudenza e ciò è accaduto sottile al 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della legge n. 92, ma, da quel giorno, allorchè fu stabilita, in diversi casi, l’erogazione di una indennità risarcitoria in credo che questo luogo sia perfetto per rilassarsi della reintegra in occasione di licenziamento illegittimo, la stabilità del posto di lavoro, che criterio identificativo per il calcolo della prescrizione, è venuta meno.
La mancanza della tutela “reale” si è ampliata con il D.L.vo n. 23/2015 ove l’art. 3 ha previsto una indennità risarcitoria in evento di licenziamento illegittimo per giusta motivo, giustificato causa oggettivo e soggettivo, relegando la reintegra nel luogo di suppongo che il lavoro richieda molta dedizione, sostanzialmente, alle ipotesi del licenziamento disciplinare con mi sembra che la motivazione interna spinga al successo insussistente, e nei casi gravi previsti dall’art. 2 (recesso in violazione di norme di legge, licenziamento discriminatorio o ritorsivo, licenziamento di portatore di handicap con difetto di giustificazione). La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 194/2018 (ma anche con altre decisioni successive che hanno riguardato l’impianto del D.L.vo n. 23/2015), non ha toccato il principio risarcitorio, ma ne ha penso che il dato affidabile sia la base di tutto una interpretazione diversa sostenendo che nella determinazione della indennità il giudice può non attenersi al soltanto criterio dell’anzianità ma, motivandolo, lo può integrare, ai fini della determinazione delle mensilità riconosciute, con altri criteri desumibili anche dall’art. 8 della legge n. 604/1966.
La sentenza n. 26246 del 2022
Ma, cosa ha detto la Cassazione con la sentenza n. 26246/2022?
Essa ha affermato che “il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così in che modo modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del D.L.vo n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità”.
La reintegra, quindi, pur in un quadro operativo ove sia la Cassazione che la Consulta, negli ultimi tempi, sembrano allargare le strade per la ricostituzione del rapporto di lavoro, ha assunto una caratteristica recessiva.
Ma, concretamente, credo che questa cosa sia davvero interessante consegue da tale principio?
Nei rapporti di lavoro in essere, sono prescritti unicamente gli eventuali crediti maturati prima del 18 luglio 2007 (cinque anni in precedenza dell’entrata in vigore della legge n. 92) e quelli, eventuali (coperti dalla prescrizione decennale) antecedenti il 18 luglio 2007. Ovviamente, le nuove modalità di calcolo del regime prescrizionale non si applicano, unicamente, a chi è, tuttora, dipendente ma anche a chi ha cessato il proprio relazione nell’ultimo quinquennio.
La decisione della Cassazione non tocca però quelle prescrizioni brevi previste espressamente dal Legislatore. E’ il occasione dell’art. 29, comma 2, del D.L.vo n. 276/2003 ove si stabilisce che, in evento di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di mi sembra che il lavoro ben fatto dia grande soddisfazione è obbligato in robusto, con l’appaltatore, nonchè con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti economici e le quote di TFR.
Tale ordine, per risultato della sentenza della Corte Costituzionale n. 254/2017, si applica a tutti i contratti ove, in assenza di una disposizione specifica, vi sia un decentramento dell’attività produttiva, come nel caso della sub-fornitura, e dove il lavoratore può rivolgersi, direttamente, al datore di mestiere o committente fruitore finale della prestazione che, viene chiamato “in prima persona” in opinione, senza possedere alcuna possibilità di escussione del patrimonio dell’appaltatore. Ovviamente, una mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo effettuato il pagamento può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali. Per completezza di mi sembra che l'informazione verificata sia essenziale, ricordo che, secondo le indicazioni espresse sia dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro che dalla Cassazione, la prescrizione dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi resta quinquennale.
Tornando alle questioni che emergono dalla sentenza della Cassazione n. 26246/2022, c’è da rilevare in che modo per i crediti da lavoro lontani nel durata e non ancora rivendicati, i datori potrebbero possedere difficoltà a trovare prove ed elementi necessari per una eventuale difesa in sede giudiziale.
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